Phil Schiller l’aveva definito “un rimasuglio medioevale” rimasto attaccato dalla notte dei tempi alle nostre tastiere. Ci voleva il coraggio di Apple, aveva aggiunto il responsabile mondiale del marketing della casa di Cupertino, per riuscire a innovare in questo particolare ambito.
In realtà l’attuale configurazione dei tasti funzione nelle tastiere classiche (standard ISO e tastiera USA) risale al 1971 ed è merito (o colpa, secondo Apple) di IBM. È quella la “notte dei tempi” cui fa riferimento Schiller: l’anno in cui Big Blue definì la tastiera standard per i terminali dei mainframe. E fece tra le altre cose un discreto lavoro di razionalizzazione e di semplificazione, perché c’erano tastiere molto più complesse, incasinate o, addirittura, monche (ad esempio mancanti dei tasti cursore).
La mossa di Apple la conosciamo: una striscia touch basata su un display Amoled con processore dedicato parente stretto di quello degli Apple Watch e degli altri apparecchi “iOS-like”. La nuova interfaccia serve a riconfigurare gli usi dinamicamente: contesti o addirittura applicazioni differenti possono cambiare le informazioni e gli attuatori digitali a disposizione sulla striscia. C’è chi la usa per gestire la timeline di un video in fase di montaggio e chi per mostrare strisce di emoji o per regolare la formattazione dei documenti.
Sia quel che sia c’è chi, come il giornalista di Cnet Stephen Shankland, proprio non ci sta dentro. «Quando ho acquistato un MacBook Pro 15 da 3mila dollari circa un anno fa, è stato per il grande schermo, il grande trackpad, il processore veloce e la scocca resistente. Ho tenuto una mente aperta sul suo Touch Bar, che sembrava qualcosa che potrebbe cambiare drasticamente come usiamo i nostri computer. Mi sbagliavo».
Invece, il Touch Bar si rivela la parte debole di quei computer, più della batteria così-così, dei processori così-così e della tastiera così-così. Rallenta l’uso dei controlli “ambientali” (volume e luminosità di schermo e tastiera), crea impicci, rende l’esperienza “tastiera” ibrida in malo modo con quella touch di iOs e degli Windows/Chromebook.
«La prima cosa che ho notato – scrive il giornalista – con il Touch Bar è che è più lento a regolare il volume degli altoparlanti e la luminosità dello schermo, cosa che faccio molte volte al giorno. I vecchi tasti funzione sono fissati per sempre nella mia memoria muscolare, invece con il Touch Bar devo guardare verso il basso per mirare il posto giusto con il mio dito, e poi c’è anche un ulteriore ritardo causato dal fatto che il cursore si deve aprire per farmi cambiare volume o intensità della luce. Anche se le icone di volume e di luminosità sono facili da capire, sono proprio accanto all’altro, e spesso tocco ancora quella sbagliata».
Apple ha migliorato un po’ la situazione con High Sierra, ma non molto. E comunque non finisce qui. Il giornalista lamenta anche i “falsi positivi” dati da tocchi leggeri e involontari della strip mentre si scrive normalmente. E poi manca il feedback tattile (c’è chi ha invocato quello aptico come per la trackpad attuale), cosa che richiede di guardare anziché muovere le mani a memoria. Il tasto Escape è diventato la dannazione per moltissime persone, dato che adesso non c’è più lo stato di “attesa” con il dito che galleggia sopra il tasto fisico, leggermente appoggiato e pronto ad esercitare la pressione finale. Invece, bisogna tenere la mano ben lontana per evitare di attivarlo quando non serve. (Qui c’è un piccolo trucco: in molti, compreso chi scrive, hanno rimappato il tasto blocca maiuscole per farne un altro tasto “esc”, pratica in ogni caso più comoda e bersaglio di tocco più preciso vista la maggiore dimensione e vicinanza).
Il giornalista cita fonti e commenti di altri per corroborare la sua tesi e ricorda che questo della strip potrebbe essere solo l’inizio di un problema più grosso. Apple potrebbe mirare a trasformare tutte le tastiere in tastiere digitali su vetro. Il giornalista invece abbraccia l’idea che si sia trattato di in tentativo maldestro e malriuscito di innovare, qualcosa che con le prossime edizioni dei portatili Apple dovrebbe scomparire. Non sarà però così: la Touch Bar sembrerebbe proprio essere qui per restare.
C’è anche un’altra spiegazione del perché la Touch Bar esista. Lo spiega un dirigente del design e della produzione dei portatili di Hp, Ron Coughlin: «Ascoltiamo i nostri clienti e i clienti ci dicono che vogliono un touchscreen. Non c’è nessun brandello di ricerca per quanto minuscolo che ci dica che serve una Touch Bar. Penso che in Apple ci sia un dogma, quasi un comandamento biblico, che dice: “Ricordati: tu non permetterai che venga toccato lo schermo con un dito”. Il Touch Bar sembra più che altro un modo per aggirare quel dogma».
Questo è quello che a quanto pare in verità molti pensano, incluso questo cronista che, durante la prova del MacBook 13 Touch Bar(qui invece quella del 13 Pro senza Touch Bar), si è trovato spesso a vedere il dito vagare verso lo schermo dopo un po’ di flessioni ed esercizi con la Touch Bar. E cioè che forse la striscia non è altro che un costoso cavallo di Troia per preparare a una futura transizione verso dei Mac tutti touch. Sarebbe una grave mancanza di rispetto al dogma creato da Steve Jobs? Beh, fu proprio il creatore di Apple ha dichiarare più volte che non ci sarebbe mai stato un iPod capace di telefonare, salvo poi presentare l’iPhone che, oltre a essere un tablet internet e un telefono intelligente, è anche un iPod agli steroidi. Perché non un Mac con processore Ax e schermo touch, allora?