Il nostro giornale non si occupa di cronaca ma siamo rimasti colpiti dalla notizia della morte della trans brasiliana “Brenda” coinvolta nella vicenda di sesso, droga e ricatti che ha portato alle dimissioni del presidente della Regione Lazio. La procura sta indagando su varie ipotesi e ne parliamo qui su Macity poiché abbiamo letto la notizia del ritrovamento nel lavandino del computer con il rubinetto aperto, probabilmente nel tentativo di renderlo inutilizzabile o, per la ragione opposta: salvare il computer dal fuoco (l’ipotesi sulla quale stanno indagando gli inquirenti, infatti, è che il computer possa custodire immagini che ritraggono Brenda, con noti personaggi in situazioni compromettenti).
Non sappiamo se il disco rigido abbia subito altri maltrattamenti e quanto sia stato a lungo a contatto con l’acqua ma abbiamo voluto indagare per capire quanto realisticamente sia possibile recuperare i dati di un hard disk sottoposto a un simile trattamento.
I dispositivi elettronici che finiscono in acqua devono essere immediatamente scollegati dall’alimentazione elettrica e riposti in un contenitore con sostanze in grado di assorbire completamente l’umidità (un trucco casereccio consiste nel riporre il dispositivo in una ciotola di riso per qualche ora).
Kroll OnTrack, una società specializzata nel recupero dati, riporta – tra i casi insoliti – il recupero del 100% dei dati di un portatile di un viaggiatore che aveva deciso di girare il mondo in barca a vela e che ha sfortunatamente ribaltato in acqua il portatile.
Altri casi di recupero noti avvennero nel 2005, l’anno dell’uragano Kathrina: una coppia di giovani sposi perse tutte le foto di fidanzamento e del matrimonio pensando che non sarebbe mai stato possibile recuperarle. La loro paura è cresciuta ancor di più quando un fornitore locale di data recovery considerò il drive “corroso oltre ogni possibilità di recupero”. Due anni e mezzo dopo la coppia ha tirato fuori dalla cantina il drive allagato per un tentativo di recupero e sempre Kroll ha recuperato tutte le foto.
Tra i fatti più curiosi citati dalle società di recupero dati, a riprova della possibilità di recupero anche in condizioni estreme, il MacBook Pro di un produttore cinematografico il cui hard disk è andato in crash prima della distribuzione del master di un DVD, una chiavetta USB risucchiata da un aspirapolvere strappando le tracce del circuito della scheda elettronica e il recupero dei dati di un signore che ha riposto il suo notebook nel forno prima di partire per le vacanze: pare che la moglie non si sia accorta della presenza del computer e ha utilizzato il forno per cuocere il pollo arrosto.
Strutture professionali sono dunque in grado in moltissimi casi e in ogni situazione di procedere al recupero. Le probabilità di recupero non è ovviamente possibile stabilirle a priori: per ogni caso è necessario comprendere cosa si è verificato, stabilire quali dati è possibile recuperare e definire costi e tipo di lavorazione. Alcune società (in Europa sono pochissime) sono dotate di “camera bianca” strutture di livello Classe 100 (un ambiente ad atmosfera controllata, dove la qualità dell’aria è costantemente monitorata) che consentono di aprire e di lavorare sui media in massima sicurezza senza timore che, ad esempio, impurità presenti nell’aria mettano a rischio l’attività di ripristino.
[A cura di Mauro Notarianni]