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Quando i cervelli si ritrovano la loro mente supera gli algoritmi, per ora

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Metti una sera prima di cena, in Galleria a Milano, nella storica libreria Rizzoli. Uno, Tomaso Poggio, è uno scienziato di quelli che il mondo c’invidia, e infatti da quarant’anni lavora negli Usa, al Mit di Boston, fondatore della neuroscienza computazionale, membro del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory del Mit e condirettore del Center for Brains, Minds and Machines. L’altro, Marco Magrini, è uno di quei giornalisti che raccontano l’innovazione come pochi altri: per 24 anni corrispondente e poi inviato del Sole 24 Ore, oggi scrive per la Royal Geographical Society.

Insieme, hanno pubblicato un libro che è a nostro avviso l’unico in cui mettere il naso se si vuol capire qualcosa di più di quel che sta succedendo nel mondo delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale senza farsi attrarre dalla cronaca del quotidiano e dal marketing dell’AI. Si intitola Cervelli Menti Algoritmi ed è pubblicato in Italia da Sperling & Kupfer.

Metti allora una sera prima di cena, in Galleria a Milano, alla presentazione del libro nella grande sala sotto il livello stradale della libreria Rizzoli, con un centinaio di persone che ascoltano incantate per più di un’ora i due raccontare, stimolati dalle domande di Marco Pratellesi, vice direttore di Oggi, che ha orchestrato l’incontro. Questi sono gli appunti che abbiamo raccolto, una sorta di resoconto quasi stenografico di una di quelle serate memorabili in cui si parla di sostanza e non di gnosi delle fanfole.

Mettetevi dunque comodi perché non saremo affatto brevi.

Come nasce un libro

Il testo di Poggio e Magrini è particolare: gli autori sono due ma si riferiscono con una voce sola. “Un libro – dice all’esordio Pratellesi – che con modalità e tempi diversi attraversa l’umanità. In certi passaggi più sintetico, in altri più profondo. Temi non facili, scritti senza fare sconti, cercando di spiegare come veramente vanno le cose”.

“La storia di questo libro – dice Magrini – dura da dieci anni. Dal giorno in cui sono andato via dal Sole 24 Ore, nel 2013. La notte ho avuto un’esplosione di idee su cosa fare da quel giorno in avanti ma la mattina ne ricordavo una sola: fare un libro con Poggio. L’avevo conosciuto e intervistato un po’ di tempo prima, mi era rimasto simpatico. L’ho incontrato a Boston, ne abbiamo parlato e mi ha detto che era d’accordo: vieni tre mesi a casa mia e ci lavoriamo. Un anno dopo ci sono andato, abbiamo lavorato ma poi, per problemi tecnici, lo abbiamo messo in pausa”.

“Mentre ero al Poggio-Lab del Mit – prosegue Magrini – non ricordo chi ha fatto una battuta: ‘Abbiamo un manuale per tutte le macchine tranne che per quella più importante, il cervello’. Bell’idea, mi sono detto, e quel libro l’ho scritto io: Cervello, manuale dell’utente, che è andato bene (è stato tradotto in dieci lingue) perché l’idea era sufficientemente buffa. L’idea del nostro libro, mio e di Poggio, si è fermata lì. Poi durante l’esatte del 2022 Poggio me la ritira fuori e due mesi dopo, Sperling e Kupfer mi chiede se ho un libro nel cassetto. Gli spiego il progetto con Poggio e loro mi rispondono inviandomi il contratto. Infine, due mesi dopo averlo firmato è uscito ChatGPT e il mondo è cambiato, ci si è cominciato a muovere sotto i piedi”.

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Foto di Antonio Dini

Il lavoro che cambia (sempre)

“Il progresso tecnologico – dice Marco Pratellesi – ha avuto una accelerazione eccezionale. Ci aiuta solo la capacità di imparare e rimetterci in discussione. Un tempo si viveva in un mondo dove si cominciava a fare qualcosa e si restava sempre gli stessi. Magari uno faceva carriera, ma il lavoro era sempre quello. Oggi iniziamo un lavoro ma dopo quattro o cinque anni questo non esiste già più. Immaginate i nostri figli e i figli dei nostri figli: che mondo troveranno? L’unica formula che ci salverà è la capacità di imparare. È tutta la vita che seguo il cervello, umano e matematico: quel che mi colpisce è che su quello matematico, il computer, siamo piuttosto ferrati. Al di là della trasparenza degli algoritmi, che manca completamente e può essere li disastro dell’intelligenza artificiale. Ma sul cervello meccanico e matematico sappiamo comunque molto. Del nostro forse non così tanto”.

“È assolutamente vero – dice Tomaso Poggio – il mistero di come funziona il nostro cervello è molto più grande di quello di come funzionino i computer e i programmi come ChatGPT. Anche se ironicamente questi ultimi funzionano così bene proprio perché non lo sappiamo. Personalmente fino a 5-10 anni fa mi sarei aspettato che la strada per sviluppare sistemi intelligenti tipo ChatGPT sarebbe passata – ma non è successo – attraverso una comprensione migliore di come il nostro cervello crea la nostra intelligenza. Invece, negli ultimi cinque anni è successo qualcosa di diverso, anche se all’inizio è stato così”.

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Marco Magrini. Foto: Antonio Dini

Come funziona il cervello?

“All’inizio – dice Poggio – la neuroscienza ha dato tutte le idee fondamentali per la macchina che sta dietro ChatGPT e gli altri neural network, ma negli ultimi cinque anni si è sviluppata in modo suo e completamente indipendente. Oggi abbiamo un vero e proprio zoo di intelligenze artificiali. La nostra non è più l’unica e ce ne sono altre che sono vicine o addirittura superiori alla nostra. Dobbiamo studiarle, capire cos’è in comune e cosa è diverso, tra ChatGPT e noi, e cercare di capire come funzionano”.

Poggio continua: “Le domande sono queste: cosa siamo, da dove veniamo, come possiamo cambiare e migliorarci, ma anche in un futuro come possiamo espandere la nostra intelligenza. Penso che dovremo interfacciarci e collegarci con le macchine, con internet, e a quel punto dovremo per forza sapere dove mettere i connettori, dovremo capire come funziona il nostro cervello meglio di quel che sappiamo oggi. È un futuro che può fare un po’ paura, quello della simbiosi tra uomo e macchina, ma penso che sia un futuro probabile dell’evoluzione”.

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Foto di Antonio Dini

Come cambiamo con l’AI?

“Una domanda per entrambi – chiede Pratellesi – con una premessa per capirci. Stiamo tracciando un panorama fantastico, se ci avete fatto caso l’ultimo dell’anno il presidente Mattarella ha detto: ‘Stiamo attraversando un momento di cambiamento radicale, la vita nostra ci sta cambiando sotto gli occhi rapidamente e noi siamo dentro questo grandissimo evento’, cioè l’AI. Nessuno però sulla stampa l’ha ripreso. Quello che chiedo è: cambia società, cambia modo di comunicare, indossiamo il cellulare che non è collegato a noi ma per poco. Si sta già lavorando a un modo di collegare questa grande capacità con il nostro cervello, trovare modo di potenziare l’uomo. Vediamo uno scenario dove noi non sappiamo dove mettere le mani”.

“Probabilmente – dice Pratellesi – tutti noi facciamo un lavoro che potrebbe essere sostituito in tutto o in parte. A Hollywood c’è stato sciopero durato mesi per tutta l’estate, mettendo a rischio serie tv e film. Uno sciopero degli sceneggiatori per il timore che l’AI li sostituisca. Perché vorrei ricordare che gli attori possono essere sostituiti e anche i doppiatori. E questo andrebbe sottolineato perché l’eccellenza italiana del doppiatore è praticamente già morta: il doppiatore come l’amanuense, insomma. Questo perché se noi fino a oggi conosciamo Dustin Hoffman con la voce del suo doppiatore, invece già oggi possiamo ascoltare Dustin Hoffman con la sua voce senza che lui sappia una sola parola di italiano. La domanda quindi è: cosa butteremo via, cosa serve, come ci dobbiamo attrezzare, cosa succederà? Ha ragione Beppe Grillo dicendo che il progresso ci libererà dalla schiavitù del lavoro e vivremo tutti con un reddito di cittadinanza?

Quando i cervelli si ritrovano la loro mente supera gli algoritmi, per ora
Foto di Antonio Dini

L’ottimismo della ragione (e del cambiamento)

Sono ottimista e come Grillo penso che i computer permetteranno di vivere una utopia in cui ognuno di noi fa quello che gli piace fare e quello che è bravo a fare: sport, arte, poesia, musica eccetera. La società continuerà a essere più produttiva di prima perché i computer faranno il lavoro che la gente faceva prima. Quindi penso che la società non sarà più povera: invece sarà altrettanto o più ricca e i mezzi per pagare la gente ci saranno; tuttavia, ci vuole la politica che decida come farlo. Questa cosa è più difficile da fare che non i problemi che la tecnologia può risolvere”.

“Infine – dice Poggio –, c’è l’aspetto di come la gente possa essere soddisfatta senza avere un lavoro. Alcuni di noi sono ben contenti di fare quel che fanno, altri hanno hobby e passioni, ma non tutti e non è chiaro come si possa rimpiazzare il senso di piacere che un lavoro ben fatto può dare”.

“D’altra parte – dice Poggio – ci sarà bisogno di regolare l’intelligenza artificiale: sono già stati fatti degli usi di chatGPT in cui si sono usate delle informazioni sbagliate. Uno degli avvocati di Donald Trump ha scritto gli atti di una causa con chatGPT usando dei casi che non esistono: sono le cosiddette allucinazioni delle AI che toccano un altro tema interessante”.

Tenere l’uomo al centro delle AI

Ho notato una cosa – aggiunge Pratellesi –. Da quando abbiamo il telefonino non diciamo più ‘non lo so’, perché controlliamo subito sul cellulare. La cosa che impressiona è che l’algoritmo fa uguale: se non trova la risposta non dice ‘non lo so’, ma se la inventa”.

“Si può usare un approccio – dice Poggio – di un altro tipo: apprendere sul posto, cioè come una macchina può fare nel settore medicale. Adesso si lascia alla AI di imparare, cioè adattarsi al particolare strumento usato da un certo ospedale, ma deve avere una vigilanza, un dottore che garantisce e si prende la responsabilità di quel che succede. Si dice”human in the loop”. Potrebbe essere un ottimo modo per fare una transizione più dolce per la gente, per il lavoro. Se un avvocato usa una macchina che lo sostituisce, un avvocato la deve sorvegliare e certificare. In questo modo non perde il lavoro, almeno non subito; invece, diventa il collaboratore della macchina. Potrebbe essere un modo per fare la transizione”.

Quando i cervelli si ritrovano la loro mente supera gli algoritmi, per ora
Foto di Antonio Dini

La causa del New York Times a OpenAI

Riprende Marco Pratellesi: “Questo ci porta in un campo attualissimo: avete scritto un libro mentre le cose stanno cambiando sotto i vostri piedi. Come sapete il New York Times ha fatto causa a OpenAI, sostenendo che l’addestramento con la grande massa di dati necessaria a imparare è stato preso in gran parte dai suoi dati. La causa è per violazione del copyright. Dicono: ‘Noi siamo proprietari dei nostri dati e voi avete fatto l’addestramento di ChatGPT senza informarci’, e secondo me hanno ragione. I dati sono il nuovo petrolio: dieci anni fa era un’idea rivoluzionaria. Anche i nostri, visto che siamo quotidianamente seminatori di dati. Chi sfrutta il petrolio e lo trasforma in energia, deve pagare la materia prima, quindi anche noi. La contro risposta di OpenAI è stata interessante: attenzione, non è tutto come dice New York Times, perché hanno forzato le risposte finché non ha portato ChatGPT all’errore. In realtà ci sono molti più dati, non solo i loro”.

Puoi dire a ChatGPT – dice Marco Magrini – di scrivere un articolo come il New York Times e lui lo fa, ma è limitativo perché lui si è formato su quantità oceaniche di dati. Questo tipo di cause succedono anche per le AI generative che producono immagini. Queste AI hanno visto tutto Picasso e tutto Tintoretto e tutto quello che è stato possibile dargli in pasto. E non solo. CI sono anche cause tra l’etichetta discografica Universal Music perché la AI prodotto canzoni con lo stile del rapper americano Drake, con lo stesso stile musicale e con sua voce. Altri hanno fatta causa con chi produce immagini esattamente per lo stesso motivo. La cosa importante da capire è che il copyright inteso come legge ha dei seri problemi e va completamente rivisto. E questa è una delle cose distruttive che produce il momento in cui c’è una rivoluzione”.

Pensiero positivo

Invece – prosegue Magrini –, sono molto affascinato dalle cose nuove che possono arrivare con la rivoluzione. Ho trovato su YouTube un video del 1985 in cui c’è uno Steve Jobs giovanissimo a una presentazione in Svezia che dice a una platea di svedesi: ‘I primi computer sono molto rudimentali ma arriverà un giorno in cui riusciranno a simulare il pensiero di Aristotele in modo tale che noi potremo fare le domande direttamente ad Aristotele’. Il pubblico ride perché pensava che questo fosse un po’ matto, invece oggi questa cosa è appena stata realizzata: a un modello algoritmico hanno dato tutto quel che abbiamo su Aristotele, e adesso puoi fargli delle domande e lui risponde come se fosse Aristotele. Ovviamente non abbiamo la registrazione della voce di Aristotele, ma abbiamo un sacco di materiale con la voce di Dustin Hoffman che non solo può parlare in qualsiasi lingua ma adesso anche rispondere con il pensiero di Aristotele. È una prospettiva fino a ieri impensabile, anche in senso positivo”.

L’intelligenza dei giovani e la democrazia

Dice Pratellesi: “Aggiungo che dal 2016 la BBC ha un software che permette ai giornalisti di parlare con la propria voce come se all’improvviso parlassero in altre lingue: cinese, giapponese, arabo, spagnolo e via dicendo. È un software che sfrutta la voce di 140 attori e 120 lingue diverse. Per questo dicevo che il lavoro del doppiatore è morto. Invece, un’altra domanda: l’intelligenza media della popolazione aumenta da decenni. Ma al tempo stesso la democrazia diminuisce. Mi sono spaventato: se aumenta l’intelligenza ma diminuisce la democrazia questo vuol dire che la democrazia non è più il sistema meno peggio di tutti?”

“Quello che citi – dice Marco Magrini – è un effetto scientifico scoperto decenni fa: prendendo i test di epoche diverse si è visto che c’è costantemente un piccolo aumento. Siamo più intelligenti dei nostri nonni. Personalmente dico che oggi da bambini ci sono più stimoli che non ai tempi dei nostri bisnonni. Però recentemente dalle misurazioni questa crescita dell’intelligenza si è arrestata e ha avuto anzi una piccola flessione: forse è per questo motivo che la democrazia non sta tanto bene”.

Ci dobbiamo preoccupare dell’AI?

Dice Pratellesi, leggendo l’indice del libro: “Radiazione evolutiva, disinformazione, sorveglianza, armi robotizzate, AI contro altre AI, estinzione dell’homo sapiens sapiens. Ci dobbiamo preoccupare?

Risponde Poggio: “Sì e no. Come tutte le tecnologie potenti e profonde, l’intelligenza artificiale porta con sé dei grandi pericoli. Sono però piccoli rispetto ad altri: riscaldamento globale e armi nucleari sono decisamente più pericolosi. L’aspetto pericoloso non è unico all’intelligenza artificiale ma è la disinformazione dei social media. Questa può aumentare con la AI, con i modelli linguistici, ma esiste anche senza l’AI ed è un problema che minaccia la struttura della nostra società: se non sappiamo più cosa è vero e cosa credere, è difficile prendere delle decisioni come società. Questo è un grosso problema e non è chiaro quale possa essere la soluzione. Non è chiaro, ma è certo che aziende come Facebook e altre, per catturare più click e quindi più soldi, fomentano conflitti e contrasti. Questo andrebbe regolato, soprattutto negli Usa dove la libertà di espressione è presa troppo sul serio. È un problema grosso”.

Cosa vuol dire “probabilità non zero”

Domanda Magrini: “Ma l’estinzione dell’uomo a causa della AI?”

“La probabilità – dice Poggio – non è zero. Come scienziato però è difficile dire che qualcosa ha probabilità zero di accadere. Però in questo caso direi che è molto piccola. Si ha una idea come quella del film Terminator, ma non mi aspetto che sia una cosa di cui dobbiamo veramente preoccuparci, visto che tutti gli altri problemi e le guerre che abbiamo adesso e che avremo nel futuro potrebbero fare molto peggio. Il pericolo invece è che si crei tanta disinformazione e che domani avremo più falsità che non cose giuste”.

“Da questo punto di vista – dice Pratellesi – lei è rimasto europeo: si può avere una AI che sia ‘Human Like’”.

L’importanza delle regole europee

Secondo Poggio: ”L’Europa sta giocando un ruolo che è centrato dal punto di vista delle regole e che può essere molto importante. Un ruolo ce l’ha anche la Cina, ma non sarebbe una buona idea prendere le regole dalla Cina, almeno non tutte visto che una dice di non fare cose contro il partito comunista o che non piacciono al partito comunista. Dall’altro lato gli Stati Uniti sono il posto dove di regole non ce ne sono e la tendenza è a non metterne, e questo è pericoloso dal punto di vista della disinformazione”.

Dice Marco Pratellesi: “Degli Usa mi colpisce che non si capisce nemmeno quanto le dichiarazioni sul pericolo della AI fatte da tanti come Elon Musk e altri, non siano puramente strumentali per ottenere bloccare vantaggi acquisiti da aziende concorrenti. È un vero Far West”.

Il Far West delle regole Usa

Risponde Magrini: “Certo. Il presidente della commissione del senato americano che si è occupato della cosa ha detto che non era mai successo nella storia di quell’istituzione che gli oggetti della regolamentazione chiedessero di essere”molto severi” con loro stessi. La tua interpretazione è corretta, Marco. Tuttavia, a me piacerebbe spiegare al nostro pubblico che stanno succedendo anche cose straordinarie. Visto che ci piacciono le cose di cronaca: Microsoft e il Dipartimento americano dell’energia hanno annunciato di aver scoperto in due settimane, da un database di 30 milioni di componenti, un nuovo materiale che permette di abbattere fino al 70% l’uso di litio nelle batterie di telefoni, automobili e altro. Una cosa del genere in questo momento storico può fare completamente la differenza. Inoltre, nell’ultima settimana, è stata annunciata una nuova classe di antibiotici che è in grado di uccidere i batteri che fino a oggi erano resistenti agli antibiotici, come lo stafilococco aureo. L’ultima volta che è stata scoperta una nuova classe di antibiotici è stato 60 anni fa, e adesso con l’AI hanno fatto tutto in due settimane; e hanno fatto bene perché finora con i test nei topi il nuovo antibiotico funziona perfettamente. E ovviamente queste non sono le uniche cose”.

Cent’anni di solitudine o anche più

“Parliamo della durata della nostra vita”, dice Pratellesi. “Tecnologia e scienza hanno corso in maniera talmente rapida da lasciarci indietro Intendo dire: oggi abbiamo vite troppo lunghe (lo dico in senso buono) perché dell’invecchiamento non sempre l’ultima parte è poi così brillante. Ci sono in maniera significativa una serie di malattie che un tempo non avevamo in maniera così diffusa, ma semplicemente perché morivamo prima. Però siamo anche sicuri che l’Alzheimer verrà curato e l’AI avrà un ruolo di facilitatore nello sviluppo della medicina, uno dei campi in cui si può prevedere che si farà un grande salto. Ma parliamo di noi, della nostra vita. Già oggi arriviamo a 90, anche 100 anni. Un domani a quanto arriveremo?

“Quando parliamo di AI – dice Poggio – parliamo di machine learning, apprendimento automatico. Quel che ha fatto la rivoluzione con successo è accaduto nel 2000, da quando cioè siamo passati da paradigma di programmare i computer a quello di allenare i computer, cioè a farli imparare. Questo ha cambiato drasticamente quel che è possibile fare, ed è stato infatti un moltiplicatore della scienza. In effetti, negli ultimi cinque anni l’intelligenza artificiale ha giocato un ruolo fondamentale in varie scoperte, una delle quali è stata portata avanti dalla società fondata da un mio ex studente, che si trova a Londra e oggi è parte di google. Loro hanno sviluppato ”Alpha Fold”, che ha risolto uno dei problemi vecchi di decenni della biologia molecolare, cioè quello che permette di predire la struttura delle proteine dalla sequenza di amminoacidi. Quando è stato presentato tre anni fa è stato detto: questo sarà il primo software a vincere il premio Nobel per la medicina. Non so se succederà, certo se lo meriterebbe. Però hanno comunque preso un altro premio molto importanteW.

Il problema dei problemi è imparare

“Questo – continua Poggio – per dire che le AI stanno stanno già giocando un ruolo fondamentale, che è quello di accelerare la scienza. Aumentano la nostra intelligenza e risolvono i nostri problemi. Aggiungo una mia una opinione personale: secondo me, tra i grandi problemi della scienza, c’è quello della intelligenza e dell’apprendimento. Lo dico perché secondo me è uno dei grandi problemi, come l’origine della vita o dell’universo o della struttura di tempo e spazio. Anche intelligenza e apprendimento è fondamentale, secondo me, perché se lo risolviamo possiamo aumentare attraverso i computer e le AI la nostra intelligenza e potremmo risolvere i più grandi problemi più facilmente.

Dice Pratellesi: “Il libro ha questo obiettivo finale. Il traguardo è l’intelligenza che capisce compiutamente se stessa”.

L’intelligenza artificiale è capace di invenzione o solo di iterazione per scoprire cose nuove?

“È una domanda interessante”, risponde Poggio. “La risposta è che non è chiaro. Quando per esempio le AI fanno delle immagini è difficile dire se sono creative. Per me il test è quando una AI sarà in grado di fare una congettura matematica nuova non triviale. Sino a che non ci riuscirà non sarà chiaro se è capace di invenzione. Ancora non è successo. ChatGPT ha trovato un paio di congetture interessanti si un angolo molto piccolo della teoria matematica dei gruppi, un piccolissimo settore in cui in tutto ci sono cinque lavori pubblicati e basta. È un angolino molto piccolo della matematica ma forse in pochi anni ci possiamo arrivare. Quando ci saranno teoremi matematici nuovi e originali, ne riparleremo”.

“Tuttavia – dice Poggio –, ero a Seoul quando Alpha Go ha battuto il campione mondiale di Go, che in Corea è come da noi il campionato del mondo di calcio, con la folla di gente per la strada che guarda la partita. E in quella serie di incontri Alpha Go ha fatto una ”God move”, una ”mossa divina”. Gli esperti di Go ne stanno parlando da allora e verrà analizzata a lungo. Il punto vero è che è molto difficile dire quale sia il confine tra la creatività e il semplice ”trovare” qualcosa. C’è intuizione o no? La domanda è in realtà che cosa facciamo noi quando produciamo un nuovo teorema: pensiamo ci sia una intuizione nascosta ma non sappiamo quale e come. Vedete che questi sistemi di AI ci pongono domande su cosa sia la nostra intelligenza”.

Immagine di Gabriella Clare Marino - Unsplash
Immagine di Gabriella Clare Marino – Unsplash

Le allucinazioni sono una falla nel sistema oppure un avanzamento verso l’invenzione della AI?

“Direi – dice Poggio – che si tratta di una falla del sistema, di uno dei problemi di queste architetture, che non sono applicabili. Non è chiaro come si possa risolvere con i trasformer, perché ingeriscono grandi quantità di dati e poi boh, non sappiamo cosa succede. Ci sono delle soluzioni provvisorie ma non delle soluzioni complete. Aziende come Google e Microsoft stanno iniziando a collaborare con le università per fare dei test sui problemi di affidabilità e controllo e capire come risolverli”.

“Tutti questi modelli – dice Magrini – stanno evolvendo nel tempo con una rapidità mostruosa. Abbiamo parlato di chatGPT, che adesso è anche capace di prendere le immagini, ma è diventato famoso perché risponde perfettamente usando il linguaggio umano in centinaia di lingue diverse. Era già impressionante così. Io però mi diverto di più a generare immagini con dei modelli come Midjourney, il mio preferito, che è uscito nel marzo del 2022 con la versione 1. Oggi siamo alla versione 6. Se chiedevi alla versione 1 di creare l’immagine di una ragazza bionda con un mazzo di fiori, la 1 gli metteva un occhio sopra e uno sotto la testa, la 2 gli metteva gli occhi a posto ma faceva le mani con sei dita. La 6 è indistinguibile dalle fotografie del miglior fotografo al mondo e per di più ad alta risoluzione. Questo modelli non sono creativi, ma mi aspetto che lo diventino abbastanza in fretta”.

La fine della serata

Conclude Pratellesi: “Finiamo con questa idea: serve la trasparenza. Quando compriamo un oggetto viene indicato se è”Made in Italy”, ”Made in China” o dove lo hanno fatto. Forse servirebbe un ”Human Made”, cioè un’etichetta e delle regole che stabiliscono la trasparenza. Va tutto bene, però voglio sapere da dove arriva una cosa, chi è che l’ha messa in circolazione. Perché veniamo da una società in cui sino a poco tempo si diceva ‘L’ho letto sul giornale, l’ha detto il telegiornale’. Questi erano i parametri. Già entrare in una società dove dire ‘L’ho letto su Facebook’ ci ha dato qualche problema, per così dire. Ma adesso entrare in una società in cui l’informazione, che è la base dell’evoluzione del cervello e dello sviluppo dell’umanità, non è più distinguibile né il vero né il falso, sinceramente qualche problema di inquietudine lo crea”.

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