Secondo un dirigente di Pure Storage, azienda che propone servizi di data storage, dal 2028 in poi non si venderanno più dischi rigidi.
Shawn Rosemarin, vice presidente responsabile ricerca e sviluppo di Pure Storage, ha riferito al sito Block & Files che la causa principale sarà non tanto il declino nel costo delle memorie NAND – elemento che pure avrà la sua importanza – ma il costo dell’energia elettrica (gli HDD integrano parti in movimento alimentate elettricamente; il costo dell’elettricità è insignificante ma in ambiti con centinaia e migliaia di dischi la differenza può essere notevole).
Rosemarin ha sottolineato che i dischi rigidi sono una tecnologia che ha ormai 67 anni, passati da stanze che servivano per offrire 5 megabyte a dove siamo oggi. Le ultime tecnologie come HAMR, con la testina dotata di un piccolo laser che scalda il piatto permettendo di gestire dischi da decine di TB, sono notevoli ma “siamo alla fine di un era”.
I vendor di HDD la vedono diversamente e nel 2021 un produttore come Seagate aveva riferito che le unità SSD non avrebbero ucciso il mercato dei dischi rigidi, e che questi continueranno a esistere ancora per molti anni.
In data center e altri ambiti nei quali non è importante la velocità ma la capacità di archiviazione, i tradizionali dischi rigidi hanno ancora senso; in questi ambiti contano la fruibilità, l’’efficienza operativa e livelli più alti di tolleranza ai guasti.
Il costo dell’elettricità e la sua disponibilità, insieme a calo del prezzo della NAND per TB sono alcuni degli elementi chiave che porteranno a detta di Rosemarin, a mandare in pensione i tradizionali HDD.
Rosemarin è di parte giacché Pure Storage fonda il proprio business sulle NAND Flash; gli analisti di Gartner hanno previsto una crescita delle vendite di SSD in ambito enterprise (fino al 35%), ma non hanno pronosticato la morte degli HDD, almeno nel breve periodo.