Apple non può usare termini quali “patent troll”, “corsari” e “banditi” nella fase difensiva di una vertenza che vede la Casa di Cupertino contrapposta al patent troll GPNE.
L’ha deciso il giudice distrettuale Lucy Koh nella fase predibattimentale, ribadendo inoltre che Apple non può usare espressioni quali “estorsione” o “giocare alla lotteria delle cause”. La Koh ritiene che queste potrebbero portare a pregiudizi o confondere la giuria chiamata a decidere se Apple ha violato o no alcuni brevetti sulla trasmissione dati che risalgono al 1996.
Benché dispregiativo, il termine “patent troll” è diventato piuttosto comune per descrivere entità non praticanti come GPNE, società che basano la propria attività economica sulla registrazione generalizzata e indiscriminata del maggior numero possibile di brevetti, richiedendo poi il pagamento delle relative royalty a chiunque utilizzi quelle tecnologie o quei metodi di produzione.
La Koh, che conosce bene la Casa di Cupertino, essendo il giudice che a suo tempo era stato scelto per occuparsi del processo civile che ha visto Apple contrapposta a Samsung, ha ad ogni modo concesso alla Casa della Mela di affermare che GPNE è “una società che non realizza nulla” o “una società che non vende nulla”, espressioni forse ancora più comprensibili per la giuria rispetto a quelle “proibite”. GPNE ha, tra gli altri, fatto causa anche ad Amazon, BlackBerry e Nokia.
Apple è uno degli obiettivi preferiti dai patent troll. “Nessun’altra azienda è vittima come noi delle entità non praticanti” aveva a gennaio di quest’anno dichiarato alla Federal Trade Commission (FTC), l’equivalente statunitense dell’autorità garante della concorrenza.