Programmatore, la professione del futuro? Sì, certamente. Ma non è una affermazione assoluta: va presa con un po’ di intelligenza. Secondo Melissa McEwen, infatti, molti sviluppatori negli Stati Uniti si potrebbero trovare in una condizione simile a quella in cui si trovano gli scrittori di quel paese (professione che la donna ha abbracciato lasciando quella di creatore di codice) e cioè con un lavoro non strutturato, l0ntano dagli ideali immaginati all’inizio (lavorare per i big della tecnologia) e potenzialmente a rischio.
Il perché, scrive la McEwen, è semplice: da un lato l’automazione e l’outsourcing, dall’altro l’insicurezza derivante dal fatto che la maggior parte dei creatori di codice in America non fanno la loro carriera all’interno delle grandi aziende supersexy a cui ci fa pensare invece l’immaginario comune: Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft. Oppure nelle startup che coccolano i loro sviluppatori, o ancora, nei grandi creatori di codice della Silicon Valley. Invece, spiega l’autrice, il rischio è di finire a lavorare in una linea di aziende a rischio, dove ci sono chiusure e licenziamenti.
Questo doppio problema va infatti a creare una situazione di potenziale crisi nella ricerca di talenti sempre più estrema e competitiva nella Silicon Valley e al potenziale decrescente numero di sviluppatori necessari in futuro perché saranno sostituiti da intelligenze artificiali in grado di gestire in maniera automatica sistemi che altrimenti avrebbero dovuto essere programmati uno per uno.
Dice la McEwan:
Programmo e faccio questo tipo di cose da più di dieci anni. Alcuen delle cose che avevo iniziato a fare all’inizio sono state già rese automatiche oppure messe in outsourcing. Si impara presto cosa sta per succedere e a spostarsi al livello di astrazione superiore. Oppure si perde il lavoro.
Insomma, gli spazi si potrebbero sempre più ridurre soprattutto negli Usa. E questo potrebbe portare a una crisi sistemica nel mercato del lavoro dei programmatori americani, che in buona parte non hanno la capacità e la flessibilità per far evolvere le proprie competenze o non vengono protetti da ambienti di alto livello come le grandi aziende del settore hi-tech.
Un problema anche in Italia? Molto probabilmente no. Nel nostro paese c’è fame di programmatori e di altre competenze simili che non si trovano. La disoccupazione riguarda altri tipi di lavoro. Invece, negli Usa, il mercato è abbastanza saturo e rapido nei cambiamenti (oltre che nei fallimenti delle aziende che non riescono a tenere il passo dell’innovazione) creando delle condizioni molto diverse. Il monito però a non prendere un mestiere, quello del programmatore, come soluzione magica per risolvere i probllemi occupazionali, che resta valido e che dovrebbe essere letto dai nostri policymakers.