Tra qualche settimana (il 6 dicembre, per l’esattezza), il giudice Lucy Koh esaminerà la richiesta di Samsung di verificare l’imparzialità della giuria che qualche settimana addietro ha emesso la pesante sentenza contro la casa sud coreana nel caso che la vedeva opposta ad Apple. Samsung lamenta che il presidente della giuria, Velvin Hogan, ha taciuto due precedenti esperienze di lavoro che per interesse e campo di attività avrebbero dovuto essere dichiarate nelle fasi preliminari del processo, nella selezione della scelta degli elementi della giuria. In particolare, secondo Samsung, Hogan avrebbe taciuto di aver lavorato in precedenza per Seagate, società da cui è stato denunciato nel 1993 per violazione di contratto in seguito a una cambiale non pagata, evento che poi portò alla dichiarazione di fallimento di Hogan. Samsung ha una relazione strategica con Seagate: con la cessione di alcune unità di produzione il colosso coreano è, di fatto, il principale azionista di Seagate. Teoricamente, quindi, Hogan avrebbe potuto usare il processo per rivalersi trasversalmente su Seagate. Il legale che allora rappresentava Seagate contro Hogan, è sposato con un avvocato che lavora per Urquhart & Sullivan, la società che ha rappresentato Samsung nel processo contro Apple.
Nella contro-mozione, Apple ha definito le accuse di Samsung “teorie contorte”, respingendo l’idea di una “vendetta” di Hogan a diciannove anni di distanza. La teoria di Samsung, dice Apple, non è legittima nel merito, poiché la vecchia disputa con Seagate non ha nulla a che vedere con il caso in questione, non sostiene alcuna nuova tesi a favore di Samsung e “non dimostra che le risposte del sig. Hogan siano state disoneste e materiali”. Apple fa notare, inoltre, che gli avvocati di Samsung avevano il dovere di intervistare e approvare i membri della giuria.
[A cura di Mauro Notarianni]