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Immaginando un mondo senza PC

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Non temete, non scompariranno né oggi né domani. Però, come rilevano gli analisti, i personal computer sono in calo. I Mac crescono, allargano la loro fetta della torta percentuale, ma in un mercato che si restringe, su una torta che diventa sempre più piccola. La tendenza non è quella all’allargamento del campo informatico tradizionale, bensì a una sua trasformazione.

Una trasformazione significativa, perché addirittura fanno notizia dati di una “ripresa” molto parziale: un misero +0,6%. in Europa addirittura +1,6%, cioè circa 270mila unità in più tra fissi e portatili. Ma l’Italia viaggia a –2,6% e guida la classifica in negativo la Gran Bretagna con –7,9%. Cala anche la Spagna e crescono invece Francia e Germania.

Al di là del dato congiunturale, quello che attira l’attenzione è la più generale indicazione di tendenza. Il mercato del Pc va più lentamente di quello telefonico (si cambia Pc una volta ogni 3–5 anni) e non viene sostituito altrettanto velocemente da quello dei tablet, che peraltro è altrettanto se non più lento. La trasformazione allora in quale direzione va?

mondo senza pc

Ci sono mercati, come quelli africani, indiano, latinoamericano e cinese che continuano ad avere spazio ma non le risorse per aquistare nuovi pc. Ci sono quelli in cui il problema non è economico ma semplicemente di competenze e opportunità: servono cellulari, non personal computer. E quindi, verso che mondo andiamo?

Steve Jobs aveva visto e intravisto che il pc fosse vicino al palo, che ci fosse una sovrabbondanza di telefonini (apparecchi post-PC come li definiva a partire da iPod/iPhone) e che bisognasse cercare di allargare partendo da quella parte. L’iPad, la snella berlinetta che doveva affiancare e sorpassare il lento furgone-pc, però, ha la sua velocità e non sarà quella che sorpasserà il pc per avvicinarsi allo smartphone. Almeno, così pare adesso. Però questa idea del post-pc apre comunque un interessante quesito: cosa succederà dopo?

Sì perché fino ad ora ce lo siano chiesti in maniera molto relativa, pensando soprattutto alla dialettica pc/tablet, ma le possibili declinazioni sono invece molto di più. E anche l’accelerazione tecnologica va in quella direzione. Infatti, se adesso siamo nella fase di maturità del ciclo della mobilità tradizionale smart (telefonini e tablet), si sa già che la prossima fase nascente è invece quella della Internet delle Cose e delle interfacce naturali. Ora, nessuno immagina di poter sostituire gli attuali pc (sia Mac che Pc) con degli orologi a cui parlare, o delle pareti davanti alle quali gesticolari. Ma il motivo per cui non lo immagina è in realtà più fragile di quanto non sia lecito immaginarsi.

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Non riusciamo a immaginarci un futuro post-PC perché sostanzialmente non riusciamo ad abbandonare la logica del mondo del pc: documenti, cartelle, applicazioni. Tutto visibile, tutto “aperto”. La lezione del web arricchito di funzionalità ben oltre le premesse di Ajax e del Web 2.0 non ha attecchito quando si parla di decostruire la logica documenti/cartelle del pc tradizionale. E quella logica non è nata a caso, ma a sua volta è figlia delle modalità tecnologiche di implementazione raggiunte all’interno del personal computer. Filesystem esposto, centralità della metafora della scrivania, cartelle, filze e documenti. Tutto costruito attorno alla tastiera e alla manipolazione tramite puntatore (e i “modi” azionabili dai menu) che è estremamente sofisticato e complesso. Ma anche terribilmente datato. È una rappresentazione logica delle informazioni, non una legge di natura.

Già iPhone e iPad hanno messo in evidenza, cercando di cambiare un po’ questo paradigma, la difficoltà ad accettarlo. La maggiore e più pesante critica verso l’iPad è la sua “differenza” rispetto a un personal computer. Non c’è la scrivania. Non ci sono le cartelle e i documenti. Non c’è un mouse. Volendo ribaltare il concetto: la difficoltà di implementare le metafore di iOS dentro il Mac è quello che impedisce l’evoluzione di macOS in un sistema operativo multitouch a filesystem nascosto.

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Il problema è però più profondo. È la natura dei dati usati e il software che permette di agirli e modificarli ad essere critico. Proviamo a immaginare un mondo digitale in cui i dati non sono “congelati” nella forma di documenti ma sono flussi, nei quali possiamo trovare “stati” in specifici momenti. E in cui le applicazioni siano in realtà servizi che, come i mattoncini del lego, permettono di mettere assieme azioni più complesse. Interfacce diverse, che aprono a un differente rapporto con le informazioni. La voce per cercare, altre metafore per rappresentare.

Però, qui sorge il problema: la costruzione della rappresentazione dei dati e dei modi con cui entrarci in relazione nei personal computer è basata su un approccio chiaro. Si vuole creare una esperienza vicaria della realtà, cioè di un certo tipo di realtà comprensibile alla mente della maggior parte degli utenti che non sono certo matematici o informatici, per accrescere il mercato. Prima delle interfacce a finestre, quelle a riga di comando erano utili ma solo per chi voleva o poteva astrarre molto e molto ricordare. Manipolare concetti astratti senza vederli, senza l’appoggio di una loro visibilità.

Si torna però in quella direzione, con tutta probabilità, se si vuole andare oltre il pc verso un ambiente realmente e pienamente post-pc. Un ambiente in cui non ci sia più lo spazio di cartelle, documenti e app separati sarebbe la desti nazione naturale e assolutamente permessa anche dall’informatica come scienza. Dopotutto, nella macchina di Turing il codice, i dati e l’elaborazione avvengono nella stessa memoria, qualsiasi loro altra rappresentazione serve a noi per capire, non al computer per fare le sue cose.

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Peccato però che sugli schermi grandi le persone chiedano altro: anche iOS ha fatto marcia indietro su molte cose e comunque tantissime app hanno riproposto una organizzazione strutturata “come sul pc”. Basta aprire l’app di Dropbox per vedere che il desiderio di avere cartelle su più livelli dove organizzare documenti di tipo diverso, uniti dal nostro personale criterio di scelta o bisogno di aggregazione, va per la maggiore.

Sul telefono è parzialmente diverso perché la dimensione dello schermo è molto ridotta. Sullo smart watch è forse il posto dove si comincia a studiare seriamente il modo per cambiare il modo con cui interagiamo con i dati e il software. Ma siamo ai primordi.

Come finirà? In che direzione stiamo andando? Questo non riusciamo a capirlo. Ma forse nei prossimi mesi vedremo delle evoluzioni. Però gli inventivi a cambiare sono pochi: la realtà è che i grandi attori del possibile cambiamento, soprattutto Microsoft e Google, hanno nei formati e nelle interfacce tradizionali una grande fonte di ricchezza e di sicurezza. Il risultato? Lo status quo. Forse un giorno cambierà.

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