Per sbloccare uno smartphone la polizia del Michigan ha richiesto la stampa in 3D le dita di una vittima di omicidio. All’inizio di quest’anno gli inquirenti si sono rivolti a un professore della Michigan State University per ricostruire le impronte di una vittima, elementi che erano disponibili da una precedente scansione. È stato creato un modello 3D di tutte le 10 dita e le impronte digitali così ricostruite verranno impiegate per sbloccare il dispositivo.
Poiché l’indagine è ancora in corso i dettagli sono ancora limitati, ma non si tratta di una novità assoluta. In passato è stata dimostrata la possibilità di superare le protezioni che sfruttano il sensore di impronte catturando l’impronta digitale di proprio interesse (es. catturando quella lasciata su un bicchiere) e ricreandola usando metodi non troppo complicati e materiali comunemente disponibili.
Da quanto riporta Fusion sembra che la polizia abbia richiesto ad uno specialista la stampa in 3D le dita della vittima ma per l’operazione basterebbe la ricostruzione delle sole impronte digitali. Il team di esperti che lavora al caso sembra stia sperimentato con rivestimenti delle impronte con diversi metalli per renderle più conduttive e in grado di essere rilevate dai sensori capacitivi, come Touch ID di Apple. Un aggiornamento precisa però che marca e modello dello smartphone in questione non sono noti con certezza: potrebbe trattarsi di un Android tra i numerosi ormai dorati di scanner impronte.
Il metodo in questione non è utilizzabile su tutti i dispositivi: con gli iPhone aggiornati alle ultime versioni del sistema operativo, anche la ricostruzione 3D sarebbe inutile. Il Touch ID di Apple è progettato per ridurre al minimo la necessità di inserire il codice di sicurezza ma questo è sempre e comunque necessario per un’ulteriore convalida di sicurezza dopo aver riavviato il dispositivo, quando sono trascorse più di 48 ore dall’ultima volta che l’utente ha sbloccato il dispositivo, per inserire l’impostazione Touch ID e codice.