Il sogno di Donald Trump che vorrebbe obbligare Apple a produrre computer e iPhone negli Stati Uniti ma anche quello di Bernie Sanders, candidato alle primarie del Partito Democratico, secondo cui la Mela dovrebbe guardare più agli Stati Uniti che alla Cina per l’asemblaggi dei prodotti, è destinato a restare tale: un sogno.
La dimostrazione arriva da uno studio scientifico di MIT Technolgy Review che spiega in dettaglio perché è effettivamente impossibile o ad ogni modo molto complesso produrre dispositivi sul territorio USA. Sono presentati tre diversi scenari, spiegando per ognuno di questi le complicazioni che deriverebbero da determinate scelte.
I componenti interni dell’Phone SE costano ad Apple 156$. L’assemblaggio dei componenti di un iPhone costa ad Apple 4$ secondo le stime di IHS e 10$ secondo le stime di Jason Dedrick, professore della School of Information Studies presso l’Università di Syracuse. Secondo Dedrick svolgere questo lavoro negli USA implicherebbe un onere aggiuntivo tra i 30$ e i 40$, non solo perché ovviamente il costo della manodopera è più grande ma anche per le maggiori spese in termini di trasporti e logistica per fare arrivare i componenti negli USA. Questo significa che, presumendo che tutti gli altri oneri restino uguali, il costo finale dell’iPhone crescerebbe di almeno il 5% rispetto ad ora.
Tutto ciò apporterebbe ad ogni modo dei benefici? Apple dice che i suoi vari fornitori impiegano 1.6 milioni di lavoratori. Al compito dell’assemblaggio si dedica una minuscola frazione di tutte queste persone. Anche se Apple riuscisse a convincere Foxconn o altri fornitori ad assemblare gli iPhone negli USA senza tagliare troppi i loro profitti, tutto ciò non implicherebbe il cambiamento epocale che evocano i discorsi di Trump o Sanders.
Nel secondo scenario, si prova a ipotizzare la costruzione di iPhone usando componenti creati negli Stati Uniti. Circa la metà dei 766 fornitori di Apple (questi comprendono produttori di parti per iPhone, iPad e Mac) sono cinesi; 126 sono giapponesi, 69 americani e 41 taiwanesi.
Il pannello frontale dell’iPhone è il Gorilla Glass che Corning produce in strutture del Kentucky, Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Il touch screen è uno degli elementi più importanti e dispendiosi. Secondo iHS quello dell’iPhone SE costa ad Apple circa 20$; altro componente importante e costoso è il processore. È un chip progettato da Apple realizzato in outsourcing sia dalla sud coreana Samsung, sia dalla taiwanese TSMC. Il modem cellulare è progettato da Qualcomm e costa circa 15$ (sempre secondo IHS). L’unità di archiviazione NAND e la DRAM influenzano per altri 15$ sul costo, i chip per la gestione dell’alimentazione, oscillatori e transceiver, sono responsabili di circa altri 15$.
Molti di questi chip sono realizzati a contratto e non è facile capire dove vengono prodotti. GlobalFoundries, ad esempio, produce microchip per conto di aziende quali Qualcomm in Germania, Singapore, New York e nel Vermont. Duane Boning, ingegnere elettrotecnico del MIT specializzato in semiconduttori spiega che sono essenzialmente modeste le differenze di costi da nazione a nazione per produrre i wafer dai quali si estraggono i chip. “I costi della manodopera sono una piccolissima parte rispetto a quelli delle attrezzatture e delle strutture richieste in una fab multi-miliardaria”. Il problema di queste strutture, spiega Alex King, direttore responsabile del Critical Materials Institute al Dipartimento Energia degli Ames Laboratory, è che diventano obsolete pochi anni dopo la loro costruzione. “Con ogni nuova generazione di semiconduttori esistono opportunità di costruire fabbriche in qualsiasi parte del mondo, inclusi gli USA” spiegabdo che la maggiorparte dei macchinari usati in queste fabbriche sono ad ogni modo prodotti negli Stati Uniti. Secondo Dedrick e colleghi, costruire i chip per gli iPhone in fabbriche USA implicherebbe un aumento di costi tra i 30$ e i 40$ per ogni dispositivo. Inizialmente, in particolare, i costi sarebbero molto più alti di quelli che è possibile ottenere dai partner asiatici, giacché si partirebbe con produzioni lente per arrivare solo in seguito a regime. Si può ad ogni modo complessivamente indicare un costo maggiore di almeno 100$ presumendo la necessità di acquisire alcuni materiali grezzi dai mercati globali.
Il terzo scenario prova a immaginare un iPhone costruito a livello “atomico” negli Stati Uniti: con tutte le materie prime che arrivano solo e soltanto dagli USA. Alex King spiega che un iPhone include circa 75 elementi indicati nella tavola periodica; anche la sola parte esterna dell’iPhone include materiali non commercialmente disponibili negli USA. L’alluminio, ad esempio, arriva dalla bauxite, roccia che costituisce la principale fonte per la sua produzione. Non esistono miniere per l’estrazione della bauxite negli USA (si dovrebbe usare l’alluminio riciclato proveniente dalle varie fonti nazionali).
Altri elementi noti come “terre rare” (ossidi più che poco comuni, complicati da estrarre) arrivano principalmente dalla Cina, nazione che produce l’85% del fabbisogno mondiale. Tra gli elementi fondamentali: il neodimio, utilizzato per i magneti (si usano per realizzare unità di archiviazione, motorini, altoparlanti, auricolari e in tutti quei casi in cui è necessaria una fonte magnetica permanente di buona intensità). Il lantanio, altro elemento delle terre rate, è utilizzato per le lenti delle fotocamere; l’afnio è utilizzato per produrre alcune tipologie di transistor.
In poche parole, dice David Abraham, autore del volume “The Elements of Power“, un libro che parla di metalli rari disponibili sulla terra, “nessun prodotto tecnologico che sfrutta minerali può essere realizzato in una sola nazione”. L’iPhone è un po’ il simbolo dell’ingenuità di quanti affermano che sia possibile realizzare un dispositivo in una sola nazione ma anche la dimostrazione dell’ineludibile realtà dell’economia globale.