I big del tech licenziano. È lo fanno in maniera piuttosto decisa. Facebook, Amazon, Microsoft, Google, IBM, Spotify, tagliano e mandano a casa migliaia di dipendenti. Un’ecatombe di posizioni che vengono chiuse, progetto tagliati, persone mandate a casa.
Attenzione, non si tratta di operai o impiegati: spesso e volentieri sono programmatori o quadri aziendali che presto si ricollocheranno e che comunque escono con cifre importanti di liquidazione, che offrono loro un periodo di disoccupazione non garantita dal governo americano ma comunque dalle assicurazioni incluse nel pacchetto delle assunzioni quando sono stati assunti. Licenziamenti sì, ma non drammatici, insomma.
Inoltre, nel mercato soprattutto americano di pressoché piena occupazione non si resta disoccupatosi per molto. Tuttavia, ci sono alcune considerazioni da fare anche perché questa serie di licenziamenti sta colpendo la Silicon Valley e le filiali in tutto il mondo del settore tech ma a quanto pare non tocca Apple.
Assumere per assumere
Come ha osservato il Wall Street Journal per primo, Apple non licenzia perché Tim Cook, che tra le altre cose quest’anno ha dimezzato il suo stipendio milionario, si è sempre mossa in maniera differente dagli altri big del tech. A differenza delle aziende che hanno raddoppiato o triplicato la propria forza lavoro in tre o quattro anni, Apple ha avuto un aumento più “sostenibile” del 20% circa. Sono andati avanti piano e facendo attenzione a quel che serviva, non per tirare dentro tutti e mostrare ai mercati che stavano crescendo a dismisura (cosa che in realtà Apple sta sistematicamente facendo sul serio).
Questo dice molto della logica e della cultura del vertice di Cupertino e va anche contro l’idea di base di come funziona il capitalismo nella Silicon Valley oltre che negli Stati Uniti in generale. L’idea infatti è che bisogna crescere per il gusto di crescere, aumentare per il gusto di aumentare, assumere per il gusto di assumere. Anche quando questo non serve e anzi rischia di rendere insostenibile l’attività. Ma quali sono le ragioni di questo comportamento?
Le ragioni dì un’esagerazione
Perché questa voglia di crescere al di sopra del normale? Una è molto semplice: mostrare al mercato (cioè a chi compra le azioni delle aziende) che va tutto bene, anzi meglio. Che si cresce. Che l’azienda va alla grande. Le assunzioni inoltre creano ricchezza e portano opportunità di ampliamento degli orizzonti aziendali, almeno sulla carta.
Inoltre, Google per prima nel mondo della tecnologia, assumere tanto in ambienti dove ci sono relativamente pochi possibili dipendenti competenti (come nel settore dell’informatica, dove storicamente scarseggiano i programmatori di medio e alto livello) non vuol dire solo accaparrarsi le risorse giuste, ma anche toglierle agli altri. Nei primi anni Duemila, quando ha iniziato a crescere, Google ha seguito una strategia di assunzioni molto serrata, praticamente togliendo dal mercato del lavoro quasi tutti i neo-dottorati in informatica della Silicon Valley e di buona parte degli Stati Uniti.
La conseguenza è stata che presto anche altre aziende hanno seguito strade simili. Oltretutto, le assunzioni, per quanto “difficili” (i test sono notoriamente molto duri) hanno portato alla necessità di trattenere i neo-assunti o, come si chiamano in gergo della Silicon Valley, i “talenti”. E per farlo si sono inventati oltre a stipendi elevati anche bonus, benefici, servizi quotidiani anche molto costosi per l’azienda (le enormi mense gratuite, le decine di servizi aggiuntivi incluse lavanderie e palestre nei campus, navette gratuite e via dicendo) che hanno creato un peso economico importante per le aziende.
Il capitalismo della costruzione
Un’altra cosa, una specie di spirale nella quale tutte le grandi aziende americane inevitabilmente cadono, è il bisogno di assumere sempre più persone per il solo scopo di assumere sempre più persone. Questo succede anche in grandi aziende come Amazon che, come sappiamo, hanno bisogno di molta mano d’opera perché si occupano di logistica e di stoccaggio dei beni. Ma aziende come Google e Facebook potrebbero funzionare tranquillamente con poche decine se non qualche centinaio di persone. O almeno così la pensa Elon Musk, che sta sterminando i dipendenti di Twitter dopo averlo acquistato. Ma attenzione, Musk non lo sta facendo solo perché è un imprenditore, per usare un eufemismo, “particolare”.
In realtà, da tempo le attività di Twitter erano in declino e il numero di dipendenti troppo elevato, cosa che avrebbe portato rapidamente al bisogno di ridimensionare l’organico. Le leggi statunitensi non mettono limiti alla velocità con la quale far uscire i dipendenti oltre che a farli entrare. E c’è da aggiungere anche che il problema fondamentale della crisi economica, il calo di produttività dovuto al telelavoro causato a sua volta dalla pandemia, l’inflazione, la guerra in Ucraina e il collasso della logistica mondiale hanno tutti avuto un impatto.
Ma il dato centrale rimane: quando gli affari vanno bene le aziende americane sostanzialmente non fanno altro che allargarsi, ingrandirsi e assumere sempre di più. Anche quando il numero di persone diventa palesemente superiore a quel che serve e a quel che permette di gestire in maniera snella e veloce l’azienda stessa.
Microsoft, negli anni Ottanta-Novanta, è stata forse la prima grande azienda del settore tecnologico a pagare lo scotto di una serie di assunzioni senza limiti, ma tornando indietro anche altre aziende (con una base di attività industriali e “manufatturiere” diverse) come HP, Ibm e in parte Sun Microsystems, hanno affrontato fasi analoghe di assunzioni e licenziamenti.
La fine della festa
Gli analisti di mercato proiettano luci fosche e suonano le sirene d’allarme, leggendo in questi licenziamenti la fine di un momento storico. Probabilmente è vero, non sta a noi dirlo, ma certamente il cambiamento non sarà perenne. Dopo Ibm e HP sono emerse Google e Facebook. Altre cose verranno fuori. Certamente una strategia più arrischiata e aggressiva, che anziché tutelare in maniera prudente i fondamentali mira a una espansione rapida e molto forte, che da fuori viene vista quasi come sconsiderata, adesso passa in cassa a pagare il conto.
Ci vorrà un po’ di tempo perché questa ondata si interrompa e forse ne verrà coinvolta in parte anche Apple, che come dicevamo al principio per adesso sembrerebbe essere esente dal bisogno di mandare a casa i suoi dipendenti. Ma, dopo la fase di magra è abbastanza scontato che ne seguirà una più positiva di crescita. Solo che non è detto che avrà come protagonisti gli attuali big del tech. Ed è questa la vera preoccupazione di chi sta licenziando il più velocemente possibile, sperando così anche di snellire la burocrazia e sgrassare quel fardello decisionale che appesantisce e rende più difficile competere.