Gli aneddoti su Steve Jobs sono pressoché infiniti e continueranno ad affascinare ancora per lungo tempo, forse meriterebbero di diventare una categoria a sé nelle letteratura aziendale e nella storia dell’informatica. La ricca antologia è arricchita dal recente contributo di Evan Doll che, prima di diventare cofondatore di Flipboard, ha lavorato in Apple dal 2003 fino al 2009, quindi in piena era Steve Jobs, quando Apple aveva ormai smesso di essere una società con un mercato di nicchia per scalare la classifica mondiale di vendite, apprezzamento inanellando un successo dietro l’altro.
Evan Doll spolvera una antica questione circa i bassi compensi corrisposti da Apple ai propri ingegneri e dipendenti, riportata da Business Insider, storicamente inferiori alle media piuttosto elevata della Silicon Valley. Questione che successivamente è risultata strettamente legata anche a un accordo segreto, poi giudicato illegale, tra Apple, Google e altri big del settore per evitare la reciproca caccia di teste e assunzioni tra dipendenti. Questo accordo, che mirava a non sottrarre personale prezioso dalle società “amiche”, fu denunciato con successo da una class action perché ha contribuito a bloccare gli aumenti di stipendio con proposte allettanti della concorrenza.
In una serie di Tweet Evan Doll ricorda il controllo completo di Jobs e racconta di un collega che osò chiedere al leggendario Ceo di Cupertino perché Apple pagasse così poco gli ingegneri. Ancora una volta la risposta di Steve Jobs suona come un esempio perfetto del suo stile dirigenziale, fortemente gerarchico: ”Forse dovresti chiedere ai tuoi manager perché non pensano che vali di più” frase che ribalta completamente il punto di vista del problema ma che suggerisce il clima competitivo più volte emerso negli aneddoti su Apple nell’era Jobs.
In ogni caso anche se la retribuzione non era al top, ingegneri e dipendenti potevano contare su sostanziosi pacchetti azionari che in molti casi si sono trasformati in vere e proprie fortune per chi ha avuto la lungimiranza o semplicemente la fortuna di conservare nel tempo.
Così non è stato per Evan Doll che dichiara di aver venduto quasi immediatamente le sue azioni per circa 4mila dollari, il doppio del valore nominale iniziale. Un buon affare era sembrato allora ma, a distanza di anni, praticamente disastroso: se Doll avesse aspettato a vendere ora quelle azioni varrebbero la bellezza di mezzo milioni di dollari.