L’ultimo è il cilindro smart di Apple, l’HomePod. Annunciato e mostrato mesi fa, doveva genericamente uscire “entro la fine dell’anno”, salvo poi essere rinviato al 2018. La stessa cosa era successa un anno prima con le cuffiette senza fili AirPods: un prodotto eccezionale secondo tutti gli utilizzatori, ma per diversi mesi piagato da ritardi e scarsità nella fornitura.
Quanto basta per far aprire il dibattito in rete: Apple non riesce più a mantenere le promesse. Anzi, Tim Cook non riesce più a mantenere le promesse. Considerando che il Ceo di Apple ha preso l’abitudine di annunciare prodotti che verranno commercializzati più avanti – un comportamento a suo tempo fortemente stigmatizzato da Steve Jobs – e poi non riesce a rispettare i tempi oppure li annuncia con tempistiche così vaghe che praticamente valgono da scusa per il ritardo più che da appuntamento vero e proprio, viene da chiedersi che cosa stia succedendo. Strategia o tracotanza? Errore o subdola capacità di spiazzare pubblico e concorrenza?
Nei tempi che furono, vale a dire sotto il quindicennio di Steve Jobs II, Apple aveva sviluppato una strategia completamente opposta: non annunciava niente in anticipo, se non nei tempi fisiologici della commercializzazione, e piuttosto faceva una “One more thing” per dichiarare a sorpresa che sugli scaffali fisici e virtuali degli Apple Store si trovavano già i nuovi gadget. Così è stato per software, hardware, servizi. Con la notabile eccezione di iPhone, annunciato a gennaio ma commercializzato a giugno, perché la registrazione presso gli enti come la FCC è pubblica ma richiede tempo e Apple non ha voluto cedere il fattore sorpresa ai soliti curiosi e amanti dei rumors.
Adesso siamo all’opposto: iMac Pro annunciato e arrivato mesi dopo; prodotti che tutti sappiamo arriveranno (come i nuovi Mac Pro) anche se nessuno sa più quando. Piccoli e grandi ingorghi di prodotti, con lanci sovrapposti. Mentre l’epoca della segretezza di Steve Jobs prevedeva un flusso ben distribuito di prodotti, quella dell’abbondanza e della pubblicità di Tim Cook si nutre di improvvisi fiotti di prodotti lanciati tutti assieme che sono preceduti e seguiti da deserti privi di annunci. Da qui, forse, il bisogno di anticipare i tempi raccontando cosa succederà prima ancora che ci siamo.
O forse perché la catena dei fornitori è più in difficoltà, la lotta si è fatta più dura, il modo per riuscire a mettersi in tasca le tecnologie necessarie ai nuovi prodotti è stato sempre più reso difficile che, quando si annuncia qualcosa, non si riesce più a governare in realtà il processo di sviluppo e allora i prodotti possono venir ingegnerizzati per la produzione, cioè le catene di montaggio possono partire solo quando sono a loro volta pronte e per questo i tempi diventano imprevedibili.
O magari ci sono anche altre spiegazioni. Magari la Apple di oggi non riesce più a calcolare i tempi giusti perché questa difficile e raffinata arte era la specialità di Steve Jobs e di qualcun altro dei suoi fedelissimi che oggi non ci sono più e quindi che si sono portati via con sé il talento necessario a fare previsioni non tanto sulle tecnologie invisibili del futuro, quanto sulla tempistica di realizzazione di un prodotto.
Pensiamo alle AirPods: molte delle soluzioni pensate per queste piccole cuffiette erano inesistenti prima, a partire dal chip wireless dedicato di Apple W1. E il livello di compressione delle tecnologie, la scelta di fare un contenitore che non solo le ricarica ma che coordina anche il funzionamento delle due, aprendo e chiudendo il coperchio. Insomma, c’è tantissima innovazione sia nel software che nell’hardware che nel processo produttivo necessario ad arrivare a un simile livello di precisione nella produzione. Si capisce quindi che il ritardo significa semplicemente che il conto dei mesi necessari ad approntare gli stabilimenti per produrli in maniera sufficientemente precisa è stato sbagliato. Idem per iPhone X, che ha subito probabilmente una raffica di ritardi, costi elevati e quantitativi contingentati anche a causa delle tecnologie scelte: innovative in maniera spettacolare rispetto al passato e alla concorrenza, ma che hanno creato anche problemi di volumi di produzione.
Steve Jobs aveva risolto questo tipo di problemi con una differenziazione dei mercati: il primo iPhone è nato prima negli Usa e poi in Germania, Francia e Gran Bretagna e poi a ruota negli altri paesi. Tanto che il modello originale, il 2G, non è mai ufficialmente arrivato in Italia: ci sono voluti dodici mesi e il lancio della seconda versione prima di avere quantitativi di produzione ragionevolmente elevati da poter coprire anche mercati non secondari come il resto dell’Europa, l’Asia e l’America Latina.
AirPower arriverà più avanti, ma quando? E l’iMac Pro? Il nuovo Mac Pro? Gli HomePod? È un po’ tutta colpa di Tim Cook, che sente il bisogno di annunciare i prodotti con sempre maggior anticipo per poi occuparsi di metterli in produzione a ritmo serrato solo dopo. Una precocità che potrebbe costargli cara.
Oppure potrebbe essere una strategia per sabotare la concorrenza, basata sull’idea di vaporware: annunci HomePod per dicembre, così togli mercato ai barilotti intelligenti di Google e Amazon che sono già arrivati sugli scaffali.
Infine, potrebbe anche essere tutta colpa di Jeff Williams, ex numero due della logistica (il suo capo era Tim Cook) che oggi ne ha preso il posto come Chief Operation Officer, COO. Magari, semplicemente, non è bravo come Tim Cook. E non ce la fa a tenere il passo delle innovazioni prodotte dagli ingegneri e designer di Cupertino. Chissà. Comunque, c’è qualcosa che non funziona.