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Per una Corte federale App Store non è monopolio

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Una class action contro Apple per far accertare App Store come monopolio è stata respinta da un giudice della corte federale USA, con una sentenza di 34 pagine. Sì, una vittoria per Apple, che segna un punto importante all’interno di questa tematica calda.

C’è anche da dire che una cospicua parte della sentenza afferma essenzialmente come i querelanti abbiano fatto un pessimo lavoro nell’esporre il caso. A questo, però, si affianca un’altra porzione importante della sentenza, che assegna ad Apple un precedente forte per difendersi in casi antitrust sempre contro App Store.

La causa è stata guidata dagli sviluppatori di Coronavirus Reporter, la cui app è stata bandita da Apple in base alle regole, che consentono la pubblicazione di app relative a COVID-19 solo da enti sanitari governativi ufficiali.

app store non monopolio

Gli sviluppatori hanno affermato che Apple ha usato il suo potere monopolistico per escludere Coronavirus Reporter da App Store a beneficio dei propri “partner istituzionali”. Apple ha rifiutato il software in base a una politica che vieta le app relative al Covid a meno che non vengano inviate da un ente sanitario riconosciuto come un’agenzia governativa o un istituto medico. Gli sviluppatori hanno affermato che Apple ha utilizzato politiche simili per escludere o sopprimere altre app per motivi anticoncorrenziali.

Coronavirus Reporter e i suoi co-querelanti hanno chiesto una ingiunzione preliminare che impedisse ad Apple di tenere alcune app fuori dal suo App Store e di addebitare agli sviluppatori una quota annuale di iscrizione all’App Store di 99 dollari. In una sentenza di 34 pagine emessa martedì, il giudice distrettuale degli Stati Uniti Edward Chen ha respinto la chiesta di ingiunzione. Una parte significativa della sentenza è relativa al fatto che la causa non è riuscita a definire correttamente il mercato in cui sosteneva che Apple detenesse il monopolio.

Gli sviluppatori hanno descritto più mercati nella loro denuncia, tra cui il “mercato degli smartphone”, il “mercato delle app istituzionali per iOS” e il “mercato nazionale della distribuzione delle app per smartphone”.appstore00002

Nei brief successivi, gli sviluppatori hanno cercato di chiarire che Apple domina due mercati primari, definiti come “mercato degli smartphone negli Stati Uniti” e “mercato degli smartphone iOS negli Stati Uniti”. Hanno anche identificato cinque mercati a valle, inclusi mercati per la concorrenza di app all’ingrosso, app per iPhone, token di autorizzazione per il lancio di app iOS, e altri ancora. Il giudice ha concluso che queste definizioni di mercato non sono chiare e ben definite.

Apple ha sostenuto di non avere una posizione dominante in questo mercato, in quanto considera il mercato rilevante degli “smartphone” o delle “app”. Poiché l’azienda detiene una quota di minoranza del mercato degli smartphone nella maggior parte dei paesi in cui opera, Apple conclude di non poter essere certo considerata come posizione dominante.

Sul punto i regolatori della concorrenza tendono a ritenere che il mercato rilevante sia quello delle “app iOS”, e quindi in questo Apple detiene il monopolio del 100%, per quanto riguarda la vendita e la distribuzione. Ed infatti, tranne pochissimi casi, non c’è modo per uno sviluppatore di portare un’app iOS sul mercato, senza venderla tramite App Store.

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Il giudice della nuova causa, però, è andato oltre, stabilendo che anche laddove Apple detenesse innegabilmente una posizione monopolistica, ciò non è necessariamente una violazione dell’antitrust. La maggior parte dei mercati identificati sono “mercati monomarca” in cui Apple è “intrinsecamente e necessariamente” l’unico partecipante, ha scritto Chen. Chen ha paragonato App Store a un giornale che pubblica annunci pubblicitari:

Se un giornale accetta alcuni annunci e si rifiuta di stamparne altri, l’inserzionista rifiutato non subisce un danno antitrust

Al di là della singola vittoria in questa causa, la pronuncia si rivela essere un importante argomento che Apple potrebbe utilizzare in futuro, o nelle cause parallele che al momento sta affrontando.

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