Google ha perso la bussola, non fa più quel che faceva prima e non sa che fare dopo. Questo in sintesi l’opinione di un ex dipendente di Sunnyvale, Praveen Seshadri. La denuncia è contenuta in un post su Medium nel quale snocciola le sue accuse.
L’ex dipendente era entrato a far parte della controllata di Alphabet da inizio 2020, con l’acquisizione di AppSheet (piattaforma intelligente di sviluppo di applicazioni no-code), startup da lui co-fondata. L’uomo parla di un “un momento di fragilità, facendo in particolare riferimento alle recenti pressioni derivanti dalla competizione con Microsoft nel settore dell’Intelligenza Artificiale. L’azienda sembra essere inadeguata, afflitta da cattiva gestione e paralizzata dalla mancanza di voglia di rischiare. In termini pratici la competizione nell’IA potrebbe rendere obsoleto il sistema con cui Google ha lavorato e continua a lavorare per mantenere la sua dominanza nel sistema.
Secondo Seshadri, i problemi di Big G non sono radicati nelle sue tecnologie ma più in generale nella cultura aziendale. “Per come la vedo io, Google ha quattro problemi culturali chiave”, “tutte naturali conseguenze dall’avere una macchina per la stampa di denaro che si chiama Ads (il software per l’inserimento di spazi pubblicitari all’interno delle pagine di ricerca di Google, ndr) che continua a crescere senza sosta ogni anno, nascondendo gli altri peccati”, che sarebbero: “(1) nessuna missione, (2) nessuna urgenza, (3) mania di eccezionalismo (la convinzione di essere investiti di un ruolo e di una missione ritenuti eccezionali e straordinari, ndr) e (4) cattiva gestione”.
Anziché lavorare per assistere i clienti, secondo Seshadri molti dipendenti di Big G sono sostanzialmente al servizio di altri dipendenti di Google. L’azienda vivrebbe «in un mondo chiuso», un ambiente nel quale lavorare duramente non necessariamente ripaga. I feedback, a suo dire, si basano su «ciò che i colleghi e i manager pensano del tuo lavoro». Google sarebbe iper-focalizzata in modo da rimediare a potenziali fallimenti, pensando alla «riduzione dei rischi e travolgendo qualsiasi altra cosa». Ogni linea di codice, ogni lancio, processo decisionale non ovvio, cambiamento al protocollo e divergenza, sono tutti considerati azzardi che in Google bisogna affrontare con cautela.
Seshadri riferisce ancora che i dipendenti sono «intrappolati» da tutta una lunga serie di approvazioni, revisioni normative, valutazioni delle prestazioni e meeting che lasciano poco spazio alla creatività o a reali innovazioni.
Nel complesso, scrive ancora Seshadri, Big G è pervasa «da una debole cultura aziendale nella quale non vale la pena battersi. Le persone inclini a combattere per conto dei clienti, a lottare per nuove idee o in nome della creatività, imparano presto il rovescio della medaglia». Seshadri afferma inoltre che il reclutamento di persone a ritmo serrato, rende difficile coltivare i talenti, elemento che avrebbe portato ad assumere anche persone con poca competenza. «Molti dipendenti», scrive Seshadri, «continuano a pensare a Google come un riferimento “davvero eccezionale” e che la replica che si sente quando si mettono in discussione tutta una serie di «inadeguati procedimenti interni» è che continuano a esistere «perché è così che facciamo in Google».
Secondo l’ex dipendente, Google è ancora in tempo per cambiare ma i dirigenti non possono pensare di poter continuare ad avere successo senza rischiare. È necessario avere una missione, premiare le persone che combattono per risultati ambiziosi e tagliare strati superflui nei quadri intermedi. «C’è speranza per Google e i miei amici che vi lavorano ma sono necessari interventi».