È iniziata a guerra santa per la scuola. Sono arrivati da una parte Google con i suoi nuovi tablet basati – sorpresa sorpresa – su ChromeOs e non su Android, e dall’altra la prima generazione di iPad low cost pensati proprio per le scuole. Gli esperti ne parlavano da tempo, era scritto nelle stelle che dovesse succedere, eppure come sempre quando capitano queste cose la realtà è sempre un po’ diversa dai piani aziendali. Per fortuna.
Apple è presente da 40 anni, come ha ricordato l’azienda stessa durante la presentazione dell’altro giorno, nelle scuole. Soprattutto americane. Google da molto meno ovviamente ma piace di più perché costa meno e offre un prodotto facile e che funziona. I Chromebook con tastiera costano poco, sono basati su Chrome (e quindi facili da usare) e stanno diventando sempre più utili perché consentono di fare cose diverse, compreso lavorare offline. E non hanno problemi di manutenzione, perché non c’è niente di realmente installato: tutte le app di ChromeOS sono in realtà nel cloud e gli aggiornamenti, gestioni e sicurezza da questo punto di vista sono fenomenali.
Ma la sicurezza non è solamente evitare di prendere i virus oppure impedire al minore di andare su siti a luci rosse vietati. No, la sicurezza per le scuole è anche un’altra cosa: avere il controllo delle proprie informazioni, evitare che i bambini e le bambine vengano spiati e schedati fin dalla più tenera età e per di più a scuola, ambiente che dovrebbe essere protetto e sicuro per definizione.
Sappiamo però che, per come è stata pensata la spina dorsale dei servizi e prodotti di Google, non è così. Fino a questo momento a quanto pare a pochi importava se il modello di business (vendere l’attenzione e i dati degli utenti agli inserzionisti pubblicitari) confliggesse con l’idea stessa di privacy e di sicurezza dei minori e nelle scuole. Ma adesso, dopo che è scoppiata la grana per Facebook, non ci vuole in realtà molto per capire che le cose possono solo farsi brutte anche per Google. soprattutto quando si mettono in ballo i bambini.
Ecco dunque che arriva l’offerta di Apple. Che tutti gli ingegneri e dirigenti dell’azienda saliti sul palco della scuola di Chicago hanno ribadito avere una priorità sopra tutte: prendere sul serio la privacy degli studenti. Questo vuol dire il rispetto della fiducia degli utenti, un sistema basato sull’idea di vendere apparecchi sicuri e che funzionano bene come modello di business e soprattutto l’orgoglio di ritornare ad avere un ruolo centrale dopo che negli ultimi anni l’innovazione sembrava essere in mano ad altri. Gente che vuole fare cose non belle, dal punto di vista di Apple, con i dati degli utenti.
Così, gli iPhone e gli iPad, usatissimi per motivi personali ma poco presenti nelle scuole a causa dei costi, adesso sono più abbordabili e sicuramente più intriganti per via della differente gestione delle informazioni personali.
Google lavora per rendere più sicuro il suo store Chrome, per gestire in maniera migliorata le informazioni degli utenti, per dare sicurezza e potenza ma tutto questo arriva dopo, viene come una specie di toppa ex post, un meccanismo di ripensamento rispetto all’architettura di gestione dei dati e soprattutto delle estensioni del browser che fa anche da sistema operativo. Insomma, mentre Apple ha un sistema costruito su un meccanismo di fiducia basato sulla gestione dei dati personali nel rispetto della privacy (non lasciano mai il dispositivo se non per i backup crittati dall’utente), la sandbox che permette di insulare le singole app, e uno store altamente controllato che mantiene una popolazione di app sicure, Google deve costruire tutto ciò a rischio e pericolo anche del suo business.
Insomma, da un lato c’è Susan Prescott, vicepresidente di Apple che ha portato sul palco di Chicago Schoolwork e Classroom: “Per noi è molto importante che voi capiate che tutti i dati rimangono privati. Mentre gli insegnanti vedono le informazioni sullo stato di avanzamento di ciascun utente, noi non lo facciamo e nessuno altro lo può fa. La privacy è parte integrante di tutto ciò che facciamo in Apple, non solo per studenti e insegnanti, ma per tutti quelli che utilizzano un prodotto Apple”.
Dall’altro c’è Google e il suo modello di business.
A chi prestereste fiducia, se foste un insegnante o un genitore che deve scegliere quale strumento i bambini useranno a scuola?