Rohit Prasad, Vice Presidente di Amazon e direttore scientifico responsabile di Alexa, ritiene che il test di Turing sia obsoleto. Il test di Turing è un criterio per determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente. Semplificando, sI basa sul presupposto che qualcuno o qualcosa (una macchina o un algoritmo) si sostituisca improvvisamente e a all’insaputa di tutti in una conversazione e i partecipanti non siano più in grado di capire quando hanno a che fare con una macchina o un essere umano. Il criterio in questione è stato suggerito da Alan Turing (considerato uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo) e si basa sul presupposto che una macchina sia in gradi di sostituirsi a una persona.
«La visione originale di Turing continua a essere fonte di ispirazione», riferisce Prasad, «ma l’interpretazione di questi test come indicatore definitivo dei progressi dell’IA implica dei limiti intrinseci dell’epoca nella quale sono stati pensati». «Innanzitutto, il test di Turing non tiene conto di attributi-macchina quali la velocità di elaborazione e la possibilità della ricerca delle informazioni, caratteristiche molto efficaci con la moderna IA. L’enfasi nella possibilità di ingannare gli umani significa che una IA per passare il test di Turing, dovrebbe imprimere pause nelle risposte a domande quali: “Qual è la radice cubica di 3434756?”, oppure “Quanto dista Seattle da Boston?”. Nella realtà l’IA conosce queste risposte istantaneamente e le pause per le risposte che danno l’impressione di una maggiore umanità, non permettono di sfruttare al meglio le sue possibilità”. “Inoltre, il test di Turing non tiene conto della crescente capacità delle IA di sfruttare sensori per ascoltare, vedere e sentire il mondo esterno. Il criterio si limita alla semplice comprensione del testo”.
«Oggi per rendere l’IA più utile, questi sistemi devono essere in grado di compiere compiti quotidiani in modo efficiente. Se chiedete al vostro assistente IA di spegnere le luci del garage, non state cercando di dialogare: volete che esaudisca la richiesta e vi informi che ha capito con una semplice segnale di riconoscimento del tipo “Ok”, “Fatto”. Anche quando siete impegnati in un dialogo complesso con un assistente che usa l’IA su argomenti di tendenza o chiedete loro di leggere una storia ai vostri figli, siete consapevoli di sapere che si tratta di una IA e non di un umano”. “Di fatto, ingannare l’utente, facendo finta di avere a che fare con esseri umani, comporta dei rischi. Immaginate le implicazioni distopiche come abbiamo già cominciato a vedere con i bot sfruttati per la disinformazione e l’emergere dei deep fake; anziché essere ossessionati dal rendere l’IA indistinguibile dagli umani, la nostra ambizione dovrebbe essere quella di creare IA con alcune caratteristiche tipiche degli umani legate all’intelligenza, incluso il buon senso, l’autocontrollo e le competenze linguistiche, combinando l’efficienza di una macchina nelle ricerche, con la sua capacità di memoria e di portare a termine compiti per nostro conto. Il risultato finale sarà la capacità di apprendimento e la possibilità di completare una serie di compiti adattandosi a situazioni nuove molto più di quanto una persona normale sia in grado di fare”.
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