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Il Nobel Paul Krugman all’attacco di Apple, Gruber in difesa

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Un premio Nobel contro Apple. E un Nobel “pesante”, perché Paul Krugman, professore di economia e affari internazionali tra le altre alla prestigiosa London School of Economics, ed editorialista per il New York Times, ha ricevuto nel 2008 il Nobel per l’economia in virtù dei suoi studi sulle nuove teorie del commercio e della geografia economica, spiegando come nessuno prima i segreti del commercio internazionale, l’accumulazione della ricchezza e gli effetti delle economie di scala e le differenti preferenze dei consumatori per beni e servizi.

Ebbene, Krugman in un suo editoriale sul New York Times poco dopo le annunciate dimissioni di Steve Ballmer dalla guida di Microsoft, fa un ragionamento piuttosto semplice per concludere che, se Microsoft sta male, Apple è di sicuro messa molto peggio. Il ragionamento cade, peraltro, nella data del secondo anniversario della nomina di Tim Cook a CEO di Apple. Ed è un ragionamento di strategia economica e di riflessione su quello che fa Apple.

Nel dettaglio, il premio Nobel argomenta che Apple fa oggi quel che Microsoft ha fatto per vent’anni: il monopolista. Vende un prodotto di qualità poco superiore a quello della concorrenza – se non inferiore -a prezzi superiori. Ma, mentre Microsoft ha avuto un successo “storico”, nel senso che è durato quasi trent’anni, Apple si trova in una situazione secondo Krugman molto più delicata perché per mantenere la sua posizione di monopolio si deve basare sulla lealtà dei suoi utenti consumer, mentre Microsoft aveva abbondantemente convinto (e ben curato) un pubblico più piccolo ma molto più influente, cioè i gestori della parte IT delle aziende, i decisori aziendali che hanno “fatto” le politiche di scelta dei personal computer alla base dei successo di Apple.

Krugman utilizza solo Windows e Android, non possiede alcun apparecchio della Mela (perché lo staff tecnico dell’università americana dove lavora da anni non è in grado di gestirli e lui ha bisogno di essere seguito in pianta stabile nella gestione dei suoi computer) tranne un iPhone in passato e poi un iPad, anche se preferisce Android per il formato phone-tablet. La sua opinione non è ovviamente quella di un tecnico né di un appassionato di tecnologia o di un utente “esperto”. Bensì è il freddo parere di un professore di economia che studia e ha costruito la sua credibilità scientifica non sulle formule matematiche che cercano di catturare con una presunta “ineffabilità” scientifica la epistemologicamente insondabile caoticità dell’agire umano (perché dopotutto l’economia, per quanto triste, non è una scienza esatta ma una scienza sociale, come la sociologia e la psicologia) e tradurla inscienza accademica, vincendoci anche il Nobel, che dopotutto ha ricevuto per la pregnanza e la fondatezza della sua analisi dei mercati e del commercio internazionale, di cui Apple è campione.

Paul Krugman

Ebbene, Krugman, che è anche certamente al corrente che sparare duro su una delle aziende con la più grande capitalizzazione di mercato in Borsa equivale a spostare miliardi di dollari di valore, creandoli o bruciandoli, fa un ragionamento fallace e criticabile, di quelli da chiedersi come abbia fatto ad ottenere una cattedra in prima battuta, anziché addirittura un un premio Nobel per l’economia.
Il vostro umile scriba si risparmia di cercare di proporre la sua piccola e poco significante linea di ragionamento, perché per quanto sagace e pugnace possa essere la penna del vostro cronista, è pur sempre quella di chi ha scampato gli esami di micro e di macro economia all’universtà più per destrezza e prontezza di riflessi che non per profonda conoscenza della dottrina. Ma si può tuttavia
cercare in rete chi ha deciso di rispondere bordata su bordata al famigerato Krugman e farsi scudo della sua opinione. Ci riferiamo qui a John Gruber di DaringFireball.

Gruber argomenta il suo ragionamento, pacifico e tranquillo, su due punti. Il primo: quando Krugman parla di Microsoft che ha vinto e Apple no, si riferisce agli anni Ottanta e Novanta, epoca in cui Apple produceva solo Mac.

Adesso, dice Gruber, se si guarda al Mac senza altro (cioè l’iPad), Apple è il singolo più grande produttore di personal computer al mondo. La strategia di Apple alla fine ha pagato e molto bene: era giusta.
Secondo, il monopolio di Microsoft era basato su un prodotto inferiore e il possesso del mercato. Molto semplice, ma altrettanto scorretto: alle persone di Microsoft bastava continuare a spingere la commercializzazione dei prodotti basati su Windows per continuare ad arricchire e fortificare una posizione di forza che l’antitrust europeo e statunitense hanno più volte giudicato parzialmente o integralmente scorretto. Si chiama abuso di posizione dominante.

Apple invece, dice Gruber, ha costruito il suo predominio nel mercato basandosi sulla qualità d’eccellenza del suo sistema operativo e dei suoi prodotti, e continua a vincere nella misura in cui riesce a innovare e a guidare meglio degli altri il mercato. È una strategia non solo più corretta ma anche e soprattutto più rischiosa, e quindi più coraggiosa. Ma come farlo a spiegare a Krugman, che con il freddo distacco dell’intellettuale dedito all’astratto studio delle cose lontane, vive la passione e i valori delle persone che popolano le aziende e dei loro clienti come variabili indifferenti di equazioni algide e spietate.

Per lui monopolisti arroganti o coraggiosi pirati sono la stessa cosa, quel che conta non è cosa o come si fa, ma quanto rende. Troppo poco, caro professore, in un mondo post-global come il nostro. Ma glielo spiegherà la storia dove ha sbagliato, non si preoccupi.

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