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La stampa canadese accusa ChatGPT di rubare il lavoro giornalistico

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In Canada un’ampia coalizione di organizzazioni giornalistiche (inclusi nome e gruppi quali: Toronto Star, Metroland Media, Postmedia, The Globe and Mail, The Canadian Press e CBC) ha citato in giudizio OpenAI affermando che quest’ultima sfrutta illegalmente articoli e notizie dei vari giornali per addestrare ChatGPT.

Il sito Toronto.com sottolinea che è la prima volta che i principali editori del Paese si sono messi insieme per scontrarsi in tribunale con una realtà come OpenAI.

La causa, presentata venerdì 29 novembre alla Corte superiore di giustizia dell’Ontario, mira al risarcimento danni e alla restituzione dei profitti ottenuti da OpenAI sfruttando gli articoli dei membri delle organizzazioni giornalistiche, oltre che a un’ingiunzione per impedire a OpenAI di usare qualsiasi articolo delle testate rappresentate in futuro.

“Il giornalismo è nell’interesse pubblico”, è riportato in una dichiarazione congiunta dei rappresentanti dei media. “OpenAI che sfrutta il lavoro di altre imprese per il proprio guadagno commerciale, non lo fa per l’interesse dei cittadini”.

Nella citazione si chiede fino a 20.000$ come risarcimento dei danni previsti per legge per gli articoli sfruttati da OpenAI, elemento che potrebbe portare l’ammontare del valore totale richiesto nell’ordine dei miliardi di dollari.

ChatGPT, via il CEO Sam Altman
Sam Altman – Foto di Steve Jennings/Getty Images for TechCrunch (da Wikipedia)

In Italia, intanto, l’editoria italiana sta svendendo il giornalismo a OpenAI: risale a fine settembre l’accordo tra gruppo GEDI (due nomi su tutti: La Repubblica e La Stampa) e l’azienda di Altman che prevede esplicitamente l’uso delli articoli pubblicati dai quotidiani di proprietà del gruppo per addestrare l’intelligenza artificiale di ChatGPT e il prototipo del motore di ricerca SearchGPT.  A luglio era stato siglato un accordo con RCS per la creazione di assistente virtuale dedicato all’app Economia del Corriere della Sera, partnership che poi è finita nel dimenticatoio.

Il nostro Garante Privacy ha invitato a fare attenzione invitando un avvertimento formale al Gruppo editoriale GEDI per possibili rischi per i dati di milioni di persone.

“Gli archivi digitali dei giornali conservano le storie di milioni di persone, con informazioni, dettagli, dati personali anche estremamente delicati che non possono essere licenziati in uso a terzi per addestrare l’intelligenza artificiale, senza le dovute cautele”, scrive il Garante. “Se il Gruppo Gedi, in forza dell’accordo firmato lo scorso 24 settembre con OpenAI, comunicasse a quest’ultima i dati personali contenuti nel proprio archivio, potrebbe violare le disposizioni del Regolamento Ue, con tutte le conseguenze anche di carattere sanzionatorio previste dalla normativa”.

Sulla base delle informazioni ricevute, l’Autorità ritiene che le attività di trattamento sono destinate a coinvolgere un grande volume di dati personali, anche di natura particolare e di carattere giudiziario, e che la valutazione d’impatto, svolta dalla società e trasmessa al Garante, non analizzi sufficientemente la base giuridica in forza della quale l’editore potrebbe cedere o licenziare in uso a terzi i dati personali presenti nel proprio archivio a OpenAI, perché li tratti per addestrare i propri algoritmi.

Il provvedimento di avvertimento evidenzia, infine, come non appaiano sufficientemente adempiuti gli obblighi informativi e di trasparenza nei confronti degli interessati e che Gedi non sia nelle condizioni di garantire a questi ultimi i diritti loro spettanti ai sensi della disciplina europea sulla privacy, in particolare il diritto di opposizione.

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