Oracle torna ad attaccare Google sulla vicenda della proprietà intellettuale delle API di Java e ha chiesto in tribunale 9.3 miliardi di dollari per danni. Questione del contendere, lo ricordiamo, sono alcune API (Application Programming Interface, insieme di procedure disponibili al programmatore) che la Casa di Mountain View avrebbe sfruttato per la creazione del suo Techonlogy Compatibility Kit (TCK) Dalvik. Oracle afferma di avere i diritti sulle API derivanti dall’acquisizione di Sun System per 5,6 miliardi di dollari e altre linee di codice che Google avrebbe usato senza citazioni, in violazione delle norme sul fair use. Nella prima sentenza era stata data ragione a Google ma in secondo grado Oracle era stata riconosciuta titolare del copyright sulle API Java chiedendo i danni, una cifra che è la più grande del genere mai richiesta, superiore persino a quanto Oracle ha pagato per l’acquisito di Sun e ai 4.9 miliardi di dollari di profitti che Alphabet ha registrato lo scorso anno.
Robert Van Nest, legale di Google, ha difeso tenacemente il suo cliente, spiegando che per Android non sono state usate scorciatoie ma è un sistema costruito con sudore e molto lavoro. “Gli ingegneri di Google hanno speso anni e centinaia di milioni di dollari per creare Android usando il know-how di Google”; “hanno creato una piattaforma completamente nuova per innovare smartphone e tablet ben al di là di quanto si era finora visto”. La strategia di Van Nest, spiega Ars Technica, ha cercato di evidenziare alcuni punti strategici. Prima di tutto, il linguaggio Java è aperto e gratuito, “un regalo che i creatori di Sun Microsystems hanno fatto al mondo”, pensato per gli sviluppatori, da insegnare nelle università e nelle scuole.
Per quanto riguarda le API coperte da copyright, l’avvocato afferma che si tratta solo di una modestissima parte del linguaggio. Le 11.000 linee di codice in questione, rappresentano meno dell’1% delle 15 milioni di linee di codice Android. L’avvocato ha paragonato il codice in questione a un’etichetta applicata a un enorme archivio. A suo dire l’uso delle API Java da parte di Google, è stato “trasformativo”, un elemento chiave nel decidere il fair use. Google use API di Java 2 Standard Edition, pensato per il desktop, in combinazione a 130 API package Android che permettono di creare il sistema operativo mobile. “È il software eseguito sul vostro smartphone, lo stack completo, l’intera questione”, spiegando che la versione mobile di Java è troppo “debole” per supportare gli smartphone.
L’avvocato ha evidenziato che Sun e l’allora suo CEO Jonathan Schwartz non avevano mai contestato l’uso di Java o delle API, anzi, di fatto apprezzandolo. Schwartz aveva testimoniato a favore di Google nel procedimento del 2012 e tornerà a offrire il suo supporto. Non è solo Schwartz a supportare Google ma l’avvocato ha scovato un filmato del 2009 nel quale il CEO di Oracle Larry Ellison celebra Android e l’uso di Java spiegando di essere “entusiasta” e “lusingato” dall’uso: “Vedremo un sacco di dispositivi Java” aveva pronunciato, “alcuni dei quali dai nostri amici di Google”.
Se Oracle tende a descrivere la storia degli smartphone come un momento nel quale Android le ha derubato delle opportunità, Van Nest ha ovviamente un’opinione del tutto diversa; Google con Android è semplicemente riuscita a fare quello che Oracle e Sun non sono stati in grado: costruire un sistema operativo utilizzabile sui moderni smartphone. Van Nest ha mostrato alcune email ottenute da Oracle nelle quali si parla di come la sua strategia mobile sia fallita e delle “limitatissime expertise interne” nel settore mobile.
“Il sig. Ellison non immaginava che Google potesse usare Java per costruire uno smartphone e si rese conto che era troppo tardi per avviare una partnership con loro” ha detto Van Nest; “fu allora che partirono le richieste e fu avviato il contenzioso”. Oracle, spiega ancora l’avvocato, presenta i documenti di Google con un revisionismo storiografico: evidenziando discussioni sul licensing di Java a Google, riconoscendo che le negoziazioni erano fallite.
Oracle afferma che la scelta di Google ha cannibalizzato il suo business nel settore mobile. I loro esperti hanno calcolato i contributi per piattaforma”, in altre parole un’analisi statistica di quanto Google ha pagato ad altri per “il contributo delle loro piattaforme mobile non-Android al suo sistema di advertising sui motori di ricerca”, arrivando a calcolare una somma pari al 36% del valore totale dell’advertising mobile. La percentuale in questione spetterebbe a Oracle in quanto titolare di Java. La questione del calcolo dovrà essere affrontata se il giudice darà ragione a Oracle, confermando la violazione dei diritti. La questione è molto controversa e non sarà facile stabilire tecnicamente chi ha ragione.