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OpenAI, la guerra interna scatenata tra spirito e denaro

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C’è chi l’ha soprannominata “la guerra dei Roses” della Silicon Valley: non è passato neanche un anno dal boom delle intelligenze artificiale lanciato da OpenAI con ChatGPT (che venne presentato il 30 novembre), ma siamo già ai fratelli-coltelli nell’azienda, con il Consiglio di amministrazione che fa fuori il Ceo e cofondatore dell’azienda all’insaputa del suo stesso presidente del CdA.

E poi le ultime notizie, con Microsoft che, dopo aver fatto un po’ di valutazioni, ha deciso da un lato di mantenere aperta la relazione con OpenAI (a cui fornisce la potenza di calcolo con Azure e che utilizza per i suoi prodotti, guadagnandoci doppiamente) ma dall’altro di assumere i fuggiaschi: Sam Altman, il suo cofondatore Greg Brockman, che faceva il presidente del CdA e che si è dimesso in solidarietà con il licenziamento di Altman, e tutti quelli dell’azienda che se ne vorranno andare per seguire il vecchio capo.

Andranno a far parte di un non meglio precisato “team di ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale”. Tra i due litiganti, Satja Nadella ha tirato la zampata, quindi. Ma chi sono in realtà i due litiganti? E perché si litiga?

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Bisogna leggere un po’ tra le righe per capire cosa sta succedendo. Le informazioni sono relativamente poche ma il rumore è fortissimo: sembra di assistere al teatrino della politica italiana in chiave Silicon Valley, con imprenditori e manager che fanno dichiarazioni (su X o altri social), uffici di Pr che corrono da tutte le parti, grandi e meno grandi giornalisti americani in super sbattimento che fanno a gara per trovare la verità.

Una verità scomoda, perché le tracce sono poche, praticamente inesistenti. C’è solo da leggere in filigrana, come ad esempio quello che ha dichiarato il chief scientist, cofondatore e membro del consiglio di amministrazione di OpenAI, Ilya Sutskever: il “cattivo” della narrazione ha annunciato che ci sarà un nuovo Ceo ad interim, Emmett Shear, intanto che si troverà un differente assetto.

Cosa sta succedendo, quindi?

Il primo punto è che qualcosa è successo: mentre quattro membri del CdA dichiarano che “il consiglio di amministrazione non ha più fiducia nella capacità di Altman di continuare a guidare OpenAI” e lo licenziano in tronco, i tycoon della Silicon Valley fanno a gara a dire quanto sia in realtà bravo, Altman.

Come Eric Schmidt, ex Ceo di Google e oggi grande lobbysta per l’uso della AI da parte dell’esercito americano: per lui Sam Altman è un eroe che ha costruito l’azienda dal nulla portandola a 90 miliardi di dollari di valore. Cosa verissima, ma la domanda è: come? E soprattutto perché?

C’è un passaggio che si dimentica o forse non si conosce quando si parla di OpenAI. La sua è stata una vera spinta rivoluzionaria, ma l’azienda nasce con una differenza profonda che non è solo quella di essere in grado di creare qualcosa che gli altri non avevano fatto prima.

Non è solo perché OpenAI è stata una specie di Tesla della AI (e vedremo se continuerà a esserlo) ma anche perché ha due anime, due storie diverse. Che sono entrate inevitabilmente in conflitto.

Storia di due città

OpenAI di Sam Altman era una azienda estremamente aggressiva, votata alla commercializzazione della AI come prodotto rivoluzionario, in grado di sbalestrare l’intero mercato informatico e non solo. Lo abbiamo visto negli ultimi dodici mesi: Altman è diventato il “poster boy” di una rivoluzione che ha cambiato la traiettoria di tutte le altre aziende della Silicon Valley e non solo.

I governi di mezzo mondo si sono messi in testa che le AI esistono e devono essere in qualche modo regolate, oppure no. Qui c’è un nodo: la competizione, dura e spietata. Altman non solo ha aperto la via a un mercato che non esisteva, ma ha anche spinto tantissimo sulla creazione di alleanze strategiche (Microsoft, soprattutto) e ha cercato di sfruttare i deliri di scienziati fuori di testa che dicono che le AI sono senzienti per spaventare opinione pubblica e governi, chiedendo a gran voce una regolamentazione dello stesso settore dal quale la sua ex azienda prosperava perché “rischia di distruggere l’umanità“. È una scusa, che ha uno scopo.

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Come si costruisce un monopolio

Qual è? Semplicemente, perché regolare le AI vuol dire bloccare i nuovi modelli tramite procedure di analisi e approvazioni regolamentari. Uccidendo la concorrenza. Tanto che in Europa c’è una lobby di produttori, molto indietro rispetto a OpenAI, che cerca di fare in modo che la UE non regolamenti le AI europee per aver tempo per innovare e creare cose nuove competitive con GPT di OpenAI e le altre (Google e compagnia).

Ovviamente però c’è anche un’altra OpenAI. Votata alla ricerca, alla scienza pura per il bene dell’umanità. È quella che ha ispirato un assetto aziendale molto particolare per OpenAI, quasi unico nella Silicon Valley, con cinque direttori del consiglio di amministrazione che sono stati scelti per motivi etici e di sicurezza, e che nel suo statuto ha una serie di vincoli e obiettivi che sono orientati al bene dell’umanità.

Un’azienda che, come DeepMind (attualmente di Google), dovrebbe fare del bene e non essere virata esclusivamente al profitto capitalistico più aggressivo.

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Foto di Sophie Backes su Unsplash

Per il chief scientist di OpenAI Ilya Sutskever, che ha guidato il “coup” contro Altman, quest’ultimo si stava comportando da «Robber Baron», da capitalista rapace, esattamente come hanno fatto nell’ottocento quelli che costruirono le prime grandi ferrovie e acciaierie e poi grandi patrimoni immobiliari e grandi fabbriche oltre ovviamente alle grandi compagnie petrolifere, al tabacco e alla finanza.

Nomi oggi conosciuti grazie a una attività di ripulitura chirurgica dei loro nomi con beneficienza, fondazioni e monumenti dedicati alle popolazioni e pagati con una piccola percentuale del denaro che hanno conquistato a suon di monopoli e prevaricazioni o danni alla salute pubblica perpetrati senza tentennare in alcun modo: John Astor, Andrew Carnegie, William A. Clark, James Buchanan Duke, J. P. Morgan, John D. Rockefeller, Leland Stanford, Cornelius Vanderbilt. Ma ce ne sono ancora una trentina: è la “old money” americana.

La guerra interna di OpenAI è uno scontro etico

L’uscita di Altman (e la zampata di Microsoft) sono la parte visibile di uno scontro etico. Le fonti dicono che da un lato l’orientamento al profitto dell’azienda sotto Altman e la velocità di sviluppo, che poteva essere vista come troppo rischiosa, e dall’altro il lato nonprofit dedicato a una maggiore sicurezza e cautela erano in contrasto.

C’è chi ha definito la decisione del CdA un “colpo di stato”, mentre altri lo vedono come la mossa giusta da fare prima che diventi troppo tardi.

I membri del consiglio che hanno votato contro Altman avrebbero dunque ritenuto che Altman fosse manipolatore e testardo e che volesse fare ciò che voleva fare senza dare retta a nessuno. Sembra un tipico amministratore delegato della Silicon Valley, se non fosse che OpenAI secondo Ilya Sutskever e gli altri non avrebbe dovuto essere una tipica azienda della Silicon Valley.

Di certo ci sono ancora molte spiegazioni da dare. Ad esempio, secondo Brockman, che fino a quando non si è dimesso per protesta contro il licenziamento di Altman era presidente del consiglio di amministrazione di OpenAI, lo avrebbe scoperto solo 5 minuti prima del licenziamento di Altman. Non si è mai sentito parlare di un consiglio di amministrazione di un’azienda che licenzia l’amministratore delegato dietro le spalle del presidente del consiglio. È anche tecnicamente impossibile o quasi per statuto.

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Foto selfie di Sam Altman pubblicata su X.

Un’azienda diversa

Sembra davvero sempre più che ci sia stata una profonda spaccatura filosofica all’interno di OpenAI. Una spaccatura tra coloro che, guidati da Sutskever (e, ovviamente, dalla maggioranza del consiglio di amministrazione), sostengono un approccio cautamente lento e genuinamente no-profit, e la parte di Altman/Brockman “muoviamoci velocemente, cambiamo il mondo e facciamo un sacco di soldi”.

Sutskever e il consiglio di amministrazione di OpenAI a quanto pare vedevano Altman/Brockman come spericolati arrampicatori; Altman e Brockman probabilmente vedono Sutskever e la sua parte di idealisti come un gruppo di idioti che la storia dimenticherà presto. La storia la scrivono i vincitori che, di solito, sono i più aggressivi che fanno più soldi e poi lasciano come eredità un mondo peggiore assieme a una bella fondazione a loro nome.

Occhio non vede, cuor non duole

Un modo semplice per vedere la questione è leggere lo statuto di OpenAI, “i principi che usiamo per eseguire la missione di OpenAI“. Sono solo 423 parole, scritte in modo molto chiaro. Cosa si legge nel documento? Il profilo di un’azienda che non assomiglia affatto alla società gestita da Altman.

Il consiglio di amministrazione, a quanto pare, crede nello statuto. Non si capisce però come abbiano fatto a rendersi conto che Altman stava guidando OpenAI in una direzione completamente diversa solo adesso. È come un idealista che si dichiara “scioccato – scioccato!” nello scoprire che si praticava il gioco d’azzardo nel casinò in cui giocava tutti i giorni.

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