Mary Lou Jepsen, direttore esecutivo responsabile engineering in Facebook e Oculus, lascerà l’azienda del social per creare una startup. Della nuova attività ha parlato nel corso di un banchetto al Women of Vision Awards di Santa Clara (California). La sua idea è di creare una nuova generazione di macchine ad alta risoluzione per la risonanza magnetica, in grado di rivelare precocemente carcinomi, malattie cardiache e altro, fino a stravaganti (ma forse non troppo) sistemi per leggere nella mente e consentire alle persone di comunicare con altri, forse persino con gli animali, tramite il pensiero.
“L’idea” dice la Jepsen, “si basa su strumenti esistenti”, evidenziando avanzamenti nei settori della fisica, dell’optoelettronica, all’elettronica di consumo, nella gestione dei big dati e dell’intelligenza artificiale, elementi che possono essere combinati per ridurre le dimensioni, migliorare le funzionalità e abbattere i costi dei dispositivi per le risonanze magnetiche. “Non posso attendere ancora, sto ancora preparando i brevetti, ma sono davvero entusiasta di proseguire verso questa direzione”.
La startup si chiamerà Open Water (oppure “OpenWater”, non c’è ancora certezza), un nome suggerito dl cantante, produttore e attivista Peter Gabriel. “Un grande consigliere”, ha detto Jepsen, ispirata da un articolo che questo ha scritto per Edge.org (“Open Water–The Internet of Visible Thought”) nel quale ha attribuito alla Jepsen il merito di avergli fatto conoscere il mondo dei dispositivi per la lettura della mente.
La Jepsen dice di non poter rivelare molto sui finanziamenti e piani specifici per Open Water ma dice che rimarrà in Facebook fino ad agosto. “Quello che sto cercando di fare è di rendere possibili cose che tutti pensano essere completamente impossibili”. Allo scopo vuole sfruttare quello che chiama “strange background” (“strano contesto”) e che comprende elementi di fisica, informatica, tecnologie dei media, ingegneria elettronica e altro ancora. Di certo ha valide idee giacché sui contribuiti sono stati sfruttati in Google X (la struttura semi-segreta gestita da Google che si occupa di sviluppare innovazioni tecnologiche), per il progetto One Laptop per Child (organizzazione no-profit da lei co-fondata creata per sovraintendere al progetto del computer da 100 dollari), al Media Lab del Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Per quanto riguarda Open Water, tra le motivazioni che l’hanno spinta a creare questa startup, il fatto di essere sopravvissuta a un tumore cerebrale. Nel 1995 è stata operata per asportare un tumore al cervello e da allora “per sopravvivere” prende delle pillole “due volte al giorno, ogni giorno da 21 anni”. Questo l’ha portata a leggere molto di neuroscienze e a pensare modalità per far fare passi avanti al settore. A suo dire ci sono grandi potenzialità negli stabilimenti asiatici per la produzione di OLED, LCD e simili. I produttori di elettronica di consumo negli ultimi dieci anni si sono concentrati troppo sugli smartphone ma a suo modo di vedere abbiamo raggiunto un punto di saturazione e le vendite sono in calo. “Vedo i produttori di sottocomponenti bramare la prossima novità”.
“La mia grande scommessa è che possiamo usare le infrastrutture produttive in questione per creare le funzionalità di macchine per la risonanza da 5 milioni di dollari trasformandole in dispositivi con costi paragonabili a quelli dell’elettronica di consumo indossabile”, “con implicazioni immense”. Ogni medico del mondo potrebbe acquistare tali dispositivi e sfruttarli per individuare precocemente malattie neurodegenerative, carcinomi, malattie cardiovascolari, emorragie interne, la formazione di coaguli sanguigni e altro.
“È una grande idea, è quello che volevo fare da una decina di anni”. ”È per questo che sono andata al MIT, è per questo che sono andata a Google”. “Venne fuori che Google aveva bisogno di me per fare altre cose per loro all’epoca più importanti. Covo questa idea dal 2005 e so chiaramente come realizzarla nel giro di pochi anni”.
Tra i fattori che hanno permesso di portare avanti le sue idee, un lavoro pubblicato cinque anni addietro da un gruppo guidato da Jack Gallant all’Università della California, Berkeley. Il gruppo di ricerca ha usato uno scanner per immagini a risonanza magnetica per tracciare il flusso sanguigno e dell’ossigeno rappresentando con un algoritmo applicato alle immagini ciò che le persone vedevano. La possibilità di misurare gli schemi cerebrali ha stuzzicato la fantasia della ricercatrice che si è messa a pensare come aumentare la risoluzione delle immagini (e quindi la quantità di dati elaborati), dedicandosi a tempo peno all’idea.
Tra le potenzialità di dispositivi in grado di “leggere la mente” la possibilità di aiutare le persone colpite da ictus non in grado di parlare e che potrebbero usare nuovi modi per comunicare, ma anche offrire alle persone mutilate la possibilità di controllare in modo più naturale le protesi. Ancora più in là si potrebbe pensare a un regista che si sveglia con l’idea di una scena in testa, trasformando il suo sogno in immagini grazie ad un computer; per un musicista potrebbe significare trasformare in musica idee che si hanno in testa, ecc.
Ma non è tutto. La Jepsen dice che il sistema potrebbe un giorno persino consentire di comunicare con gli animali, scrutare nella loro mente e capire con le immagini a cosa stanno pensando”. “Sappiamo molto poco. I delfini sembrano molto intelligenti, forse avremo un modo per interagire con loro”.
La stessa Jepsen ammette che tutto sembra un po’ folle; solo il tempo ci dirà se ciò che ha in testa (è proprio il caso di dirlo) sarà un giorno realtà. Se anche solo una piccola parte di ciò che afferma si confermerà realizzabile, sarà senz’altro un progresso per la scienza.