L’Irlanda, secondo la comunità europea paradiso fiscale di Apple, comincia a diventare un posto scomodo per le operazioni fiscali internazionali. Da qui l’idea dell’azienda guidata da Tim Cook di traslocare poco per volta, a Jersey, una piccola isola posta nel Canale della Manica, dove l’imposta sui profitti delle società è zero. E quanto in sostanza emerge da Paradise Papers, documenti ottenuti da due società finanziarie e finiti nelle mani dei giornalisti del quotidiano Süddeutsche Zeitung, che li ha a sua volta messi a disposizione dell’International Consortium of Investigative Journalists (Icij) di cui fa parte L’Espresso.
Nei file in questione vi sono riferimenti ad attività off-shore di personalità quali la regina Elisabetta II, il co-fondatore di Microsoft, Paul Allen, Bono Vox e altri ancora. Le società off-shore, lo ricordiamo, sono attività che hanno sede legale in paesi diversi da quelli in cui le aziende normalmente operano. È un espediente non illecito, di norma scelto per riservatezza ma soprattutto per vantaggi fiscali. L’obiettivo principale è ovviamente la riduzione dell’imposizione fiscale ma anche protezione del patrimonio e ottimizzazione dei costi.
Nell’inchiesta giornalistica, scrive L’Espresso si evidenzia la contromossa studiata dal produttore di iPhone, preoccupata dal rischio di pesanti sanzioni europee. Uno dei maggiori studi legali americani, Baker McKenzie, su incarico di Cupertino, si sarebbe rivolto a Appleby, uno studio fondato alle Bermude che offre servizi offshore in numerose località. Allo studio sarebbero state fatte domande compresa la «conferma che una società irlandese può svolgere attività di gestione…senza essere soggetta a tassazione nella sua giurisdizione».
Dopo le rassicurazioni, la scelta: l’isola di Jersey diventerà gradualmente, in modo ibrido, una delle nuove location di Apple, che in pratica potrà così replicare la struttura fiscale irlandese, con cui ha accumulato 252 miliardi di dollari sui profitti non americani. Montagne di soldi fatti in altri paesi usando stragegie di elusione fiscale messe a punto, dalla Mela, così come tante altre altre multinazionali, da un’élite di consulenti in materia di offshore.
Il portavoce di Apple, a cui è stata inviata una serie di domande, si è limitato a rispondere che la società aveva informato le autorità americane, irlandesi e la commissione europea sulla riorganizzazione in corso alla fine del 2014: «Le modifiche che abbiamo realizzato non riducono i nostri impegni fiscali in qualunque paese».. E ancora: «Apple osserva le leggi e, se il sistema cambia, lo rispetta. Noi sosteniamo con vigore gli sforzi della comunità globale verso una riforma fiscale internazionale e per un sistema più semplice. E continueremo ad essere favorevoli».