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Tutti fanno ponti d’oro ai nomadi digitali, cosa cercano le aziende

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La pandemia, la rivoluzione del cloud e dell’internet veloce. Ma anche l’intelligenza artificiale, i portatili ultraleggeri. La distribuzione capillare dei beni con Amazon. Il minimalismo. L’evoluzione del lavoro nella società moderna. La ricerca di una vita esotica da Instagram. La ridefinizione dei valori e delle priorità dopo la pandemia. Tutto congiura per trasformare numeri sempre crescenti di persone, più o meno giovani, in nomadi digitali.

Una classe sociale di lavoratori che fa gola a molti paesi, perché i nomadi digitali, come dice il nome stesso, hanno fatto della capacità di spostarsi di posto in posto il loro stile di vita. E, liberati da molte spese (ad esempio il mutuo) possono investire di più in intrattenimento e altre forme di spesa amata dai luoghi turistici e non. Inoltre, a differenza dei turisti, sono presenti tutto l’anno.

E questo spinge molti paesi a cercare di diventare attrattivi per i nomadi digitali che provengono tipicamente da paesi ricchi: gli Stati Uniti ma anche il Regno Unito. Per non contare poi chi viene dalla Francia, dalla Germania e anche dall’Italia, perché no. Abbiamo anche noi lavoratori il cui posto di lavoro è il computer, che vogliono scoprire il mondo. E pagare in euro per farlo.

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Storia di un movimento

I nomadi digitali sono una categoria a sé stante. Sono canonicamente nati a partire dagli anni Ottanta. Si racconta sia stato un certo Steve Roberts, che cavalcava una “computerized recumbent bicycle” a girare gli Stati Uniti pedalando e restando connesso via satellite al suo business.

Lo immortalò nel 1984 il numero di agosto di Popular Computing e di fatto la rivista ha segnato la nascita di una categoria sociale. Le persone che non vogliono passare la vita in ufficio, timbrare il cartellino, mettersi la giacca e la cravatta tutti i giorni. Invece, le persone che “vogliono vivere il sogno”. Una forma di migranti (e non di migrati, perché continuano a spostarsi) che ha fatto del desiderio di libertà la chiave della loro vita. E la tecnologia informatica ha permesso loro di realizzarlo.

Tutti fanno ponti d'oro ai nomadi digitali, cosa cercano le aziende
I primi veri nomadi digitali italiani. POC PowerBook Owners Club a SMAU 1998. FOTO POC

La nascita di una categoria

Oggi il nomade digitale non è solo aiutato dalla tecnologia più potente e dalla logistica che consente loro sia spostamenti a più basso costo che poter ricevere qualsiasi bene desiderino acquistare in qualsiasi parte del mondo (compreso un nuovo MacBook se desiderano cambiarlo o un orologio con la sorpresa). Oggi c’è anche un aspetto normativo importantissimo che è cambiato: i nomadi digitali sono una categoria che i governi ha individuato e che molti paesi perseguono.

Ci sono visti e facilitazioni fiscali e lavorative per attrarre queste persone e fare in modo che portino linfa vitale (leggi: soldi) a nazioni che abbisognano di iniezioni non tanto di talento quanto di valuta pregiata. E visto che i soldi continuano ad arrivare dal datore di lavoro straniero, molti Paesi vorrebbero trasformare questi nomadi in residenti stabili e altopaganti.

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La trasformazione digitale

Quasi 60 Paesi offrono visti a distanza, molti dei quali con l’obiettivo di rendere i visitatori residenti permanenti. Secondo gli esperti fiscali, i visti per “nomadi digitali” sono sempre più utilizzati dai Paesi per attrarre lavoratori aziendali a distanza, mentre i governi cercano di superarsi a vicenda nella guerra globale per i talenti.

Un numero sempre maggiore di Paesi ha introdotto una forma di visto per nomadi digitali. Visti che consentono a una persona di vivere in un Paese e lavorare da remoto. Soprattutto da quando la pandemia ha aumentato la richiesta dei dipendenti di “lavorare da qualsiasi luogo”.

Il viaggiatore pragmatico

Non bisogna sbagliarsi, però. Il concetto di “nomade digitale” tende a far pensare a un freelance senza fissa dimora che viaggia con lo zaino in spalla attraverso una filza infinita di nazioni o che lavora sulla spiaggia con il suo MacBook o, meglio ancora, con un iPad. Non è così.

Invece, i nomadi digitali autonomi rappresentano una fetta relativamente piccola della comunità totale. Sebbene il loro numero sia cresciuto di oltre il 50% dopo la pandemia, secondo i dati di MBO Partners, non sono il gruppo principale che i governi stanno cercando di attrarre. Invece, quelli che sono etichettati come nomadi digitali a più alto valore oggi sono i lavoratori da remoto. Che si spostano e stabiliscono la loro base in un posto dove passeranno alcuni anni, lavorando per una azienda che ha sede e uffici in un altro Paese.

Immaginate: un dipendente di una big del tech che va a scrivere codice alle Azzorre o in Sardegna, lavorando per una società con sede (e uffici) solo in Germania, in Gran Bretagna o magari nella Silicon Valley.

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Un esercito di lavoratori di riserva

Secondo la ricerca condotta da MBO Partners, il numero totale di nomadi digitali statunitensi ha raggiunto i 17,3 milioni nel 2023, di cui solamente 6,6 milioni sono i lavoratori autonomi. L’indagine della società di consulenza tiene conto solo degli americani, che sono in effetti il gruppo più numeroso di nomadi digitali per nazionalità.

I lavoratori dipendenti a distanza non sottraggono posti di lavoro ai locali e le loro attività di consumo contribuiscono all’economia del paese ospitante, creando una specie di situazione “win-win” che non sfugge alle amministrazioni centrali di chi può offrire una natura invitante, una società attiva e una qualità della vita superiore (oltre a una certa sicurezza sociale).

Per questo motivo numerosi Stati si sono buttati sulla nuova parola d’ordine “nomadi digitali”, anche se in realtà i visti dovrebbero essere chiamati “visti per lavoratori a distanza”. Anche nel nostro Paese. Infatti, poco più di un mese fa l’Italia ha introdotto un visto per nomadi digitali, unendosi a una lista di diversi Paesi europei, tra cui Portogallo, Estonia, Grecia, Malta e Spagna, che stanno cercando di attrarre una forza lavoro remota globale in forte crescita.

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Il profilo dei migranti digitali

Come dargli torto, dopotutto. I trasporti aerei a prezzi relativamente contenuti, la rete di distribuzione dei beni e la banda larga ma soprattutto la disponibilità di voli a prezzi relativamente bassi per tornare “quelle volte che serve” alla casa madre, spinge sempre più persone a questo tipo di scelta di vita. E non sono solo venti-trentenni maschi e single. Ci sono coppie e intere famiglie, che decidono di trasferirsi provvisoriamente, di conciliare una “vita da Instagram” in località esotiche (dal loro punto di vista) con la stabilità di un lavoro che non richiede necessariamente di vivere all’estero ma che lo consente.

I nomadi digitali (o lavoratori remoti digitali che dir si voglia) non sono persone che emigrano perché non vogliono cambiare vita e paese in pianta stabile, ma non sono neanche vacanzieri che passano un breve periodo in un altro paese, dato che possono andare avanti per anni, magari dividendo il loro anno in quadrimestri e seguendo i ritmi della scuola dei figli: otto mesi da una parte e quattro da un’altra.

Programmi simili a quello avviato in Italia sono stati introdotti da tempo anche alle Barbados, in Brasile, a Capo Verde, in Costa Rica, alle Mauritius e negli Emirati Arabi Uniti. Sebbene non esistano cifre ufficiali sul numero di Paesi che hanno introdotto i visti, gli esperti fiscali fanno riferimento a fonti compilate da nomadi digitali come nomadgirl.co, secondo cui sono 58 i Paesi nel mondo che li offrono.

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Guadagnare negli Usa e spendere in Europa

Sul nostro pianeta, a seconda di come li si conta, ci sono un po’ meno di duecento entità nazionali: questo vuol dire poco meno di un terzo vuole attrarre i nomadi digitali e ha costruito una corsia preferenziale e fiscalmente funzionante.

I paesi che aprono ai nomadi digitali sono tendenzialmente paesi che sono meno attrattivi per una forza lavoro straniera che venga assunta in pianta stabile. Non solo per gli stipendi ma anche per il tipo di lavori che si potrebbero trovare. Invece, essere coinvolti in un lavoro di qualità, con possibilità di crescita, in un settore molto specializzato, e vivere una vita da sogno in Italia piuttosto che in Grecia, è l’obiettivo di molte persone di alto reddito che sono logorate dalla vita nel proprio paese.

E in questo modo cercano di trovare la terza via di un vecchio modo di dire: “Gli Usa sono il posto dove fare i soldi e l’Europa quello dove spenderli“. In questo modo, si possono fare i soldi e spenderli contemporaneamente, mentre si è ancora relativamente giovani, senza farsi mancare niente. Tipico dei nomadi digitali.

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