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Nokia vide il futuro dell’iPhone ma non volle crederci

C’è un momento magico nella vita di ogni rivoluzione tecnologica, quando ancora nessuno sa che sarà una rivoluzione. Un istante perfetto nel quale il mondo sta per cambiare ma non lo sa ancora. Un attimo di equilibrio precario tra il prima e il dopo, tra il vecchio e il nuovo. Quel momento, per la rivoluzione mobile, fu il 10 gennaio 2007, il giorno dopo che Steve Jobs presentò il primo iPhone (e Macity ovviamente era là a raccontarlo).

In quel momento un piccolo gruppo di persone in Nokia, azienda che dominava il mercato della telefonia mobile con il 50% di quota globale, preparò una presentazione riservata. Nove persone, per la precisione, che avevano compreso qualcosa di straordinario. Qualcosa che, nonostante l’evidenza cristallina della loro analisi, il resto dell’azienda si sarebbe rifiutato di vedere. Un documento che oggi, grazie all’apertura dell’archivio digitale di Nokia all’Università Aalto in Finlandia, possiamo leggere come una profetica analisi di quello che sarebbe successo.

Nel 2007 Nokia non era solo un’azienda di successo: era un simbolo. Il marchio finlandese rappresentava l’innovazione europea, la capacità di competere con i giganti americani e asiatici. I suoi telefoni erano oggetti di culto, il suo logo era riconosciuto ovunque. Ma proprio questo successo straordinario stava per diventare la sua gabbia dorata. Una trappola fatta di certezze che sarebbero crollate come un castello di carte.

La profezia di Nokia

“L’iPhone potrebbe diventare un nuovo standard di riferimento”. “La sua interfaccia touch è visivamente stupefacente e incredibilmente reattiva”. “Apple ridefinirà l’esperienza utente e creerà un nuovo mercato premium”. “Dobbiamo sviluppare una nostra interfaccia touch per rispondere”. Le parole di quella presentazione suonano oggi come un campanello d’allarme che nessuno volle ascoltare.

Non era solo l’interfaccia touch a preoccupare i nove profeti di Nokia. Era l’intero ecosistema che Apple stava costruendo, dall’integrazione con iTunes alla partnership rivoluzionaria con l’operatore telefonico americano Cingular (poi AT&T). Era il modo in cui l’azienda di Cupertino stava ridefinendo non solo il prodotto ma l’intero mercato. Era la visione di un futuro in cui il telefono sarebbe diventato una piattaforma per applicazioni, contenuti e servizi.

Nokia vide il futuro dell’iPhone ma non volle crederci - macitynet.it
Nokia vide il futuro dell’iPhone ma non volle crederci

L’errore fatale

Eppure, qualcosa mancava anche in quella lucida analisi. I nove non colsero appieno l’importanza del browser Safari e del “vero internet” mobile. Non capirono che l’assenza del supporto Java ME non era una debolezza ma una scelta strategica deliberata, così come voler far fuori Flash, che invece era diventato un pilastro della piattaforma di Nokia. Non videro che Apple stava preparando una rivoluzione ancora più grande con l’App Store, che esordì l’anno dopo.

Ma il vero problema non era tanto quello che non videro, quanto quello che l’azienda si rifiutò di vedere. C’è una citazione perfetta per casi come questo e infatti è stata fatta più volte per descrivere l’errore commesso da Nokia. Come scrisse il giornalista Upton Sinclair, citato nella stessa presentazione di Nokia: “È difficile far capire qualcosa a una persona quando il suo stipendio dipende dal non capirla”. Una frase che riassume perfettamente il dramma dell’azienda, il paradosso dell’innovatore e anche, più classicamente, il peccato di hybris (l’invidia degli dei) tanto caro alle superstizioni degli antichi greci.

Nokia vide il futuro dell’iPhone ma non volle crederci - macitynet.it

La lezione per il presente

Oggi, mentre assistiamo a una nuova ondata di innovazioni dirompenti, dall’intelligenza artificiale alla realtà aumentata, la lezione di Nokia è più attuale che mai. Non basta vedere il futuro: bisogna avere il coraggio di abbracciarlo. Non basta capire il cambiamento: bisogna essere disposti a cambiare. Non basta vincere una battaglia: bisogna avere il coraggio di tornare a essere ogni volta dei debuttanti assoluti.

Le grandi aziende di oggi stanno commettendo gli stessi errori? Quante Meta, quante Google, quante Microsoft stanno ignorando i segnali del cambiamento perché troppo investite nel loro modello di successo? Quante hanno al loro interno dei “nove profeti” che stanno cercando di far sentire la loro voce?

Altro che far rima: la storia si ripete oggi con un’eco quasi perfetta. Mentre le grandi aziende tecnologiche si confrontano con l’intelligenza artificiale, vediamo le stesse dinamiche. Abbiamo i profeti interni che lanciano allarmi, come i dipendenti di Google che mettono in guardia sui rischi e le opportunità dei modelli linguistici. E abbiamo i manager che, proprio come quelli di Nokia, sono troppo investiti nel presente per vedere oltre.

Abbiamo una intera industria costruita su un modello tecno-economico di sviluppo costosissimo, quella cioè immaginata da Sam Altman che richiede iniezioni di miliardi e miliardi di per acquitare tonnellate di schede grafiche Nvidia e aprire datacenter ovunque (anche nel vostro sottoscala), e poi la mossa dei cinesi di DeepSeek che mandano tutto a carte quarantotto o perlomeno ridimensionano seriamente le proporzioni degli investimenti dimostranco che si può fare di più con meno.

Il paradosso dell’innovazione

Il paradosso è questo: spesso sono proprio le aziende più innovative a essere più vulnerabili. Nokia non era un dinosauro tecnologico: era un’azienda che aveva rivoluzionato la telefonia mobile. Era leader non solo nelle vendite ma anche nell’innovazione. Era amata dai consumatori e rispettata dai concorrenti.

Ma il successo può essere una trappola più insidiosa del fallimento. Può creare una zona di comfort dalla quale è difficile uscire. Può generare un’inerzia che rende impossibile cambiare rotta anche quando la necessità del cambiamento è evidente. Può trasformare i leader di mercato in prigionieri del loro stesso successo. Il costo di questa miopia strategica fu astronomico. Nel giro di soli cinque anni Nokia passò dall’essere il colosso indiscusso della telefonia mobile a una dolorosa cessione della divisione mobile a Microsoft. La stessa Microsoft che aveva commesso errori simili sottovalutando internet, ma che almeno aveva avuto la forza economica per sopravvivere grazie al monopolio di fatto in altri settori (Windows e Office). Un destino che mostra come nel mondo della tecnologia non esistano rendite di posizione.

La vera lezione di quella presentazione del 2007 non è tanto che Nokia non vide arrivare il futuro. È che lo vide arrivare con una chiarezza cristallina, ma scelse di non crederci. Una lezione che, nell’era dell’intelligenza artificiale, delle auto elettriche a guida autonoma e della realtà aumentata, suona come un monito per tutte le aziende che oggi si trovano di fronte a un bivio simile. Perché il futuro non appartiene a chi lo vede per primo, ma a chi ha il coraggio di dargli forma.

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