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Nel 2000 Nintendo ha nascosto un tesoro dentro Zelda Majora’s Mask

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Se pensate che i cacciatori di tesori esistano solo nei film d’avventura, vi sbagliate. Ci sono archeologi digitali che, armati di pazienza e competenze tecniche, continuano a scavare nel codice dei vecchi videogiochi alla ricerca di segreti mai svelati. E qualche volta fanno scoperte sorprendenti, come è successo in questi giorni con The Legend of Zelda: Majora’s Mask, il celebre titolo Nintendo del 2000 che custodiva un segreto rimasto sepolto per quasi un quarto di secolo.

Dentro al codice del gioco, infatti, era nascosto il supporto completo per i comandi vocali. Una caratteristica che non è mai stata attivata nella versione finale ma che, se fosse stata implementata, avrebbe contribuito ad anticipare di vent’anni l’era delle interfacce conversazionali che oggi diamo per scontate con Alexa, Siri e gli assistenti vocali.

La scoperta del codice nascosto

Il merito va a un hacker conosciuto come Skawo, che ha trovato nelle viscere del gioco una serie di comandi vocali perfettamente implementati. “Hai Chiizu” (l’equivalente giapponese di “Say Cheese!”) per scattare una foto, “Miruku” (“Milk”) per mungere una mucca, “Atonanjikan” per chiedere quanto tempo manca prima che la luna si schianti sulla Terra. Non erano semplici esperimenti o frammenti di codice abbandonato, ma un sistema completo e raffinato di interazione vocale.

Questi comandi erano presenti in tutte le versioni del gioco, sia quella giapponese che quelle occidentali, ma erano stati disabilitati prima della pubblicazione. Il sistema era pensato per funzionare con il Voice Recognition Unit (VRU), un accessorio per Nintendo 64 che in Occidente non è mai arrivato e che anche in Giappone ha avuto una distribuzione limitatissima.

I pionieri del controllo vocale

All’epoca, infatti, solo due giochi supportavano ufficialmente il VRU: Hey You, Pikachu! e Densha de Go! 2 (un gioco di simulazione di treni). Ma la scoperta in Majora’s Mask rivela che Nintendo aveva piani molto più ambiziosi per questa tecnologia. L’azienda di Kyoto stava sperimentando l’integrazione dei comandi vocali in uno dei suoi titoli più importanti, una mossa che oggi ci appare sorprendentemente moderna. Soprattutto perché Zelda, assieme a Mario, è la killer application per le piattaforma: giocare la carta dei comandi vocali, comprimendo per di più nella memoria già limitata delle cartucce del Nintendo 64 (poche decine di megabyte rispetto ai quasi 700 MB che all’epoca avevano i dischi della Playstation 1 o il Gigabyte dei dischi speciali per il Dreamcast della Sega) moltissimo codice molto complesso da eseguire.

Non era la prima volta che Nintendo si avventurava in territori inesplorati. L’idea di una interazione immersiva e performativa, che restituiva la dinamica attiva del gioco di persona e tra amici era nella testa dei dirigenti di Nintendo da tempo. L’azienda aveva già sperimentato con il controllo vocale nella versione giapponese del primo The Legend of Zelda per Famicom, che includeva un microfono nel controller. Ma l’implementazione in Majora’s Mask era molto più sofisticata, con comandi contestuali che si integravano naturalmente nel gameplay.

Nel 2000 Nintendo ha nascosto un tesoro dentro Zelda Majora’s Mask - macitynet.it

La visione del futuro di un quarto di secolo fa

Quello che colpisce è quanto questi comandi vocali fossero pensati in modo organico. Non erano semplici alternative ai pulsanti, ma interazioni che arricchivano l’esperienza di gioco. Dire “Okirou” (“Svegliati!”) per destare i personaggi addormentati o urlare “Haiya” per far galoppare più veloce il cavallo Epona creava un livello di immersione che ancora oggi ci sembra innovativo.

La decisione di rimuovere questa funzionalità prima del lancio fu probabilmente dettata da considerazioni pratiche: la limitata diffusione del VRU, la complessità di localizzare i comandi vocali in più lingue, forse anche i limiti della tecnologia dell’epoca. Ma il codice rimasto nel gioco ci racconta di una Nintendo che già nel 2000 immaginava un futuro in cui avremmo parlato con i nostri videogiochi.

L’eredità della sperimentazione

Oggi viviamo un’epoca completamente diversa e la strada che abbiamo fatto è incredibilmente lunga. I videogiochi sono cambiati tantissimo, forse oggi attraversano addirittura una fase di profondo ripensamento. Senza contare l’impatto dell’intelligenza artificiale. È però difficile prevederlo, però, non solo perché le generazioni difficilmente conoscono i vecchi giochi ma anche perché il mercato, basato sulle ondate di innovazione tecnologica dell’hardware, tende a cancellare la propria memoria.

Questa scoperta ci ricorda infatti quanto sia importante preservare e studiare i vecchi videogiochi. Non sono semplici prodotti d’intrattenimento obsoleti, ma finestre su un passato in cui il futuro che oggi viviamo veniva immaginato e progettato. Il codice nascosto di Majora’s Mask è una capsula del tempo che ci mostra come, 25 anni fa, i progettisti Nintendo stavano già esplorando territori che solo oggi stiamo iniziando a considerare mainstream.

E forse c’è una lezione anche per il presente: l’innovazione nel gaming non significa necessariamente grafica più definita o mondi più vasti, ma può nascondersi in nuovi modi di interagire con il gioco. Nintendo lo sapeva nel 2000 e continua a dimostrarlo oggi, con le sue continue sperimentazioni nel campo dell’interazione uomo-macchina.

Chi sa quanti altri segreti sono ancora nascosti nei videogiochi del passato, aspettando che qualche archeologo digitale li porti alla luce. Nel frattempo, questa scoperta ci ricorda che la vera innovazione non è tanto la tecnologia in sé, quanto il coraggio di immaginare nuovi modi di giocare.

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