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Divieto di sosta, San Francisco restituirà 174 dollari alla vedova di Steve Jobs

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Alcuni abitanti di San Francisco hanno in comune un problema che a suo tempo aveva riguardato anche il defunto co-fondatore di Apple, Steve Jobs. La municipalità sta cercando di rimborsare 6,1 milioni di dollari, eccedenza percepita in 200.000 multe inflitte nell’arco di 17 anni, tra il 1 gennaio 1995 e il 30 giugno del 2012. Ad alcune persone è stato infatti richiesto un pagamento superiore al dovuto, altri hanno pagato il doppio, fa notare The Register che ha individuato nell’elenco delle persone da rimborsare, anche quello di Steve Jobs e consorte.

Nel caso del co-fondatore di Apple c’è il riferimento a tre diversi veicoli e quattro multe, per un totale dovuto dalla municipalità di San Francisco ai Jobs di 174 dollari. Non è il solo CEO della Silicon Valley a vantare un credito. C’è anche Marc Benioff di Salesforce che dovrà ricevere 94 dollari e Peter Thiel, co-fondatore di PayPaypal che dovrà avere 170 dollari. Il record spetta ad ogni modo al CEO di Uber, Travis Kalanick, che dovrà ottenere 510 dollari. Chissà, forse l’idea di Uber è nata dopo troppe multe ricevute…

Multe Jobs

La San Francisco Metro Transit Authority non ha chiarito le modalità per ottenere il rimborso, ma gli utenti dovranno richiederlo entro il 3 marzo 2016. Se non lo faranno, il denaro rimarrà nelle casse della città. A San Francisco e in altre città USA fino a qualche tempo addietro erano attive startup che avevano ideato app per la “vendita” dei parcheggi, un meccanismo che consentiva di “vendere” il posto dove è parcheggiata la propria auto al migliore offerente o, viceversa, di acquistarlo quando si è in cerca di un posto.

Nel luglio del 2014 il procuratore della città di San Francisco Dennis Herrera aveva richiesto alle aziende che gestivano le applicazioni in questione di interrompere le proprie attività poiché stavano violando la legge con meccanismi “che cercano di tenere in ostaggio i parcheggi pubblici al fine di ricavarne un profitto personale”. In altre città il sistema sembra funzionare ma – etica a parte – non è chiaro quanto sia perfettamente legale.

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