Succede così, in un sabato qualunque di primavera un tweet della figlia racconta al mondo che il padre, Giovanni Degli Antoni, uno dei “fondatori” dell’informatica italiana, non c’è più. L’applicazione tecnologica della scienza che ha studiato per tutta la vita e che ha contribuito a modellare direttamente o indirettamente (con più di duemila tesi di laurea e intere falangi di allievi) è la stessa che sognava da ragazzo, settant’anni fa, quando per la prima volta incontrò la cibernetica e poi l’informatica. È quella che ha cambiato il mondo, una rivoluzione che dura da sessant’anni e sulla quale in Italia ha avuto uno dei ruoli più importanti.
Nato a Piacenza 81 anni fa, Giovanni Degli Antoni (per tutti, da sempre, Gianni, o meglio ancora “gda”, semplicemente, sempre minuscolo) è dunque morto ieri pomeriggio. Classe 1935, diplomato al liceo scientifico di Piacenza e laureato in Fisica a Milano nel 1960, è stato uno degli uomini chiave dell’Accademia italiana per la nascita e soprattutto il consolidamento dello studio dell’informatica in Italia.
Dopo la Normale di Pisa e il Politecnico di Milano, infatti, l’università Statale di Milano con lui accese un terzo faro nel dopoguerra, portando questa disciplina eclettica e secondo molti improvvisata a dignità di scienza da studiare e documentare. Uomo caratteriale, geniale nelle sue intuizioni quando complesso e difficile da gestire all’interno del già eccentrico mondo dei fisici e dei matematici, è stato il creatore di tre dipartimenti (due a Milano in via Comelico e uno a Crema, negli ex spazi Olivetti, da poco consolidati in un unico centro accademico sempre in via Comelico) e una figura di intuizione e pensiero. Era difficile come personalità, senza dubbio: c’è chi ricorda che il riconoscimento come creatura autonoma dell’Istituto di Cibernetica della Statale, costola di Fisica e Matematica, sia stato rinviato di quasi un decennio per l’opposizione proprio dei fisici e dei matematici, che non si fidavano non tanto del suo talento quanto del suo temperamento e rallentavano la nascita dell’informatica in Statale a Milano: l’esordio infatti avvenne nel 1986, ben dopo gli altri grandi poli italiani.
Però gda nella sua vita ha costruito moltissimo: dal riconoscimento dell’Onu del 2009 per testimoniare la sua carriera al fatto che intere generazioni di ricercatori e professori di informatica italiani siano cresciute grazie a lui. Dal “Gruppo di Elettronica e Cibernetica” del 1969, che si trasformò nell’Istituto di Cibernetica nel 1977 (di cui lui era direttore) e che poi divenne autonomo, sempre sotto la sua guida sino al 1991.
A differenza di molti informatici, persi nella teoria e nell’astrazione autoreferenziale della loro scienza, gda fu uomo di colpi di genio e aperture di senso. In qualche modo vedeva il nuovo strumento, l’informatica, come una cosa molto più trasversale, all’incrocio tra competenze ambiti diversi. La riteneva scienza che autonoma e assolutamente “soft”, cosa diversa dalla tecnologia dei circuiti che compongono i computer così come l’astronomia è cosa diversa dai telescopi. Ma la riteneva anche strumento per fare altro: creò il Centro Televisivo Universitario di Ateneo della Statale e pianificava sempre nuove idee e possibili modi per sparigliare le carte: compresi i raid in ultraleggero sui cielo dell’Africa creando una rete wireless tra gli apparecchi che rimbalzava poi sino ai satelliti, un’idea visionaria sul modo in cui costruire reti che ha predatato di decenni le possibili applicazioni in vari settori, compresa l’intuizione che l’infrastruttura senza fili fosse per definizione mobile e destinata a prevalere in territori a bassa penetrazione tecnologica come l’Africa.
Multimedialità, Olivetti, e-learning, l’apertura di centri di studio e ricerca in Cina, intelligenza artificiale, trattamento automatico dei dati, ma anche le prime scuole per disoccupati all’inizio degli anni Sessanta. Scorrere oggi il curriculum di gda è impressionante, soprattutto pensando a quanto abbia continuato a fare negli ultimi e quanto poco la sua voce però sia stata ascoltata nel dibattito nazionale relativamente alle nuove tecnologie. Tra gli ultimi temi di cui si è occupato infatti c’era il soft computing, nella convinzione che un arco di discipline (fuzzyness, neurali, genetici, caotici, frattali) integrate con le tecnologie ordinarie potessero costituire un elemento della competitività del made in Italy attraverso nuove tecniche di design. Ma non faceva più polemiche. Forse per questo il suo nome da un decennio era scivolato nell’oblìo. L’età aveva smussato la sua vis polemica, la sua capacità di attaccare e sorprendere, cambiando continuamente fronte, aprendo nuovi scenari imprevisti a tutti, amici e nemici. Una mente organizzativa, l’uomo capace di creare e difendere il contesto nel quale far emergere i ricercatori e gli studiosi. Una mente che oggi non c’è più e che dovremmo ricordare, perché dimenticare uomini come gda, nel bene e nel male, è un danno tremendo, ancora più grande di quello della loro scomparsa.