No, Apple non si piega benignamente al mercato tedesco assorbendo i 36 euro dell’equo compenso mentre in Italia si affretta ad applicarlo. Semplicemente in Germania non esiste l’equo compenso e Franceschini si sbaglia ed è stato mal informato da chi ha architettato l’applicazione della tassa sugli smartphone e i tablet. Questa la nota che ci arriva da un lettore e getta nuova luce e precisa ulteriormente l’affermazione via Tweet del ministro per i beni culturali.
La vicenda è quella nota. Il Governo applica la tassa su cellulari e tablet, Apple adegua i suoi prezzi, il mondo di Internet si indigna, Franceschini, che è il ministro responsabile, lancia un tweet provocatorio con il quale dimostra, anzi dimostrerebbe, che Apple fa pagare solo agli italiani la tassa, mentre in Germania dove è di ben 36 euro, l’iPhone costa 33 euro meno. Quindi, è la conclusione, Apple vessa gli utenti italiani e coccola quelli tedeschi.
In realtà non solo l’impianto da cui prende le mosse il messaggio è discutibile, come abbiamo provato a dimostrare, ma è, in effetti, come ci viene fatto notare, sbagliato nel merito: in Germania non esiste alcuna tassa sull’equo consenso sui cellulari.
Franceschini o, meglio, chi gli ha suggerito i dati per il Tweet, non sa che nella Repubblica Federale, come spiega Der Spiegel, c’è solo una proposta, ferocemente contestata dalle associazioni che raggruppano i produttori di dispositivi elettronici, tra cui Bitkom, in conseguenza della quale i produttori e la ZPÜ, la Zentralstelle für private Uberspielungsrechte, la realtà che rappresenta alcune delle associazioni detentrici dei copyright e che pretende il pagamento della tassa sugli smartphone, si stanno confrontando in tribunale.
La vicenda, molto controversa e che fa discutere in Germania fin dal 2011, parte dalla richiesta unilaterale da parte della ZPÜ, non sostenuta da alcun comma di legge specifico (al contrario di quel che accade in Italia), di un diritto alla copia che parte da 8 euro e arriva appunto ai 36 euro menzionati dal Tweet del Ministro per dispositivo con schermo touch sopra gli 8 GB. Il dibattito tra le parti si è trascinato per lungo tempo, tra stop and go e trattative che non sono giunte a nulla, per l’esorbitanza delle pretese della ZPÜ. Un primo punto di svolta si è avuto il 6 febbraio quando il consorzio delle associazioni per i diritti di Copyright, ha mandato una ingiunzione di pagamento agli amministratori delegati di Sony, Google, Samsung, Microsoft, Nokia, HTC, LG, Motorola e Huawei, intimando anche il pagamento degli arretrati per un totale di 240 milioni di euro e minacciando di ricorrere ad una corte di giustizia.
Di fronte al diniego della controparte, ZPÜ si è rivolta alla corte regionale di Monaco dove giace la pratica in attesa di un esame che dovrebbe arrivare entro l’estate. Ma anche quando la corte si pronunciasse al proposito, ci vorranno anni prima che si arrivi al dunque e ad un non troppo probabile pagamento di 36 euro per telefono, visto che Bitkom e l’omologa BHC hanno già previsto di ricorrere alla corte federale di Francoforte e successivamente anche alla Corte Europea di Giustizia, ritenendo che la stima di tasse per un totale di 700 milioni di euro all’anno per i soli smartphone (a tanto ammonterebbe il versamento da parte dei produttori di cellulari) è totalmente fuori dal mercato sia in rapporto all’uso che si fa degli smartphone, sia in relazione all’eventuale danno prodotto.
Insomma, se si doveva fare un esempio in cui Apple rinuncia ad una parte del profitto per causa della tassa sull’equo compenso, Franceschini doveva scegliere un altro paese, diverso dalla Germania dove Apple spunta un profitto solo marginalmente inferiore rispetto a quello che spunta in Italia (un iPhone 5s 16 GB costa in Italia senza tasse ed equo compenso €596,64 e in Germania 587,39). Probabilmente avrebbe fatto anche meglio a trattenersi (o far trattenere) il Tweet, ma questa è solo una opinione.