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I migliori libri di poesie per l’estate

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Che cos’è la poesia? Una domanda impossibile a cui rispondere. Forse, andrebbe letta e basta. Tuttavia, possiamo dire a mo’ di introduzione, che la poesia è un linguaggio universale che attraversa culture e tempi, offrendo una comprensione più profonda della condizione umana. Ma è anche una finestra sull’intimo dell’autore, un rifugio di parole che raccontano storie personali e collettive. E comunque è sempre un’arte che cerca di rivelare la verità nascosta dietro le parole, esplorando il significato della vita e dell’esistenza.

In questa raccolta di autori e antologie delle loro composizioni abbiamo cercato di seguire un solo criterio: il tempo che l’estate di solito ci regala, la calma che ci consente di leggere in maniera più posata e completa, il desiderio di esplorare mondi nuovi al di là della nostra abituale zona di conforto.

Qui trovate tutti gli articoli con i Migliori libri di Macity raccolti in un’unica pagina.

migliori libri guida


Il desiderio mi brucia. Poesie d’amore

L’amore, il primo dei sentimenti potentissimi che la poesia da sempre esprime. Viscerale e appassionato, il sentimento d’amore è rappresentato da Cesare Pavese a tinte di straordinaria vividezza. La presenza e la sensualità della donna amata accendono in lui un desiderio tanto più ardente quanto più irrimediabilmente è negato, e le poesie che scaturiscono dall’esperienza amorosa rivelano la propria intensità là dove questa si fa più radicale. Il desiderio mi brucia raccoglie un’ampia selezione di versi fervidi e toccanti, scritti tra l’ottobre del 1923 e l’aprile del 1950: dagli anni dell’adolescenza fino ai mesi che precedettero immediatamente la morte, ripercorrendo passo dopo passo l’esistenza interiore e più autentica di un autore simbolo del nostro tempo.

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Dammi mille baci, e ancora cento. Le più belle poesie d’amore

L’amore è anche il sentimento che i classici hanno definito, una volta e per sempre. «Odio e amo»: forse nessuno è riuscito a sintetizzare meglio di Catullo le contraddizioni e i paradossi del sentimento amoroso. Quello tra il poeta e Lesbia è del resto uno degli amori più noti di tutta la letteratura: ineluttabile, geloso, volubile, ossessivo, e al contempo non estraneo a momenti di profonda tenerezza, ha segnato una tappa fondamentale nella storia della lirica erotica. Questo volume raccoglie un’ampia selezione dei Carmi catulliani e ripercorre le vicende private dell’autore, offrendo un saggio esaustivo del suo tormento: dalla dolcezza dell’illusione alla rabbia furibonda e all’ostentata spavalderia, dalla cieca disperazione alla più rassegnata amarezza.

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Poesie. Testo inglese a fronte

Una delle più grandi poetesse di sempre, Emily Dickinson ha lasciato un segno enorme nella storia della letteratura mondiale. Poetessa dalla sensibilità particolarissima, Emily Dickinson riesce a vedere sempre l’universale nel quotidiano, descrive magicamente il volgere delle stagioni, considera la vita alla presenza dell’infinito, si interroga sui paradossi della fede dei padri e annuncia la propria indipendenza da ogni condizionamento. Questa ampia scelta di testi tratti dalle sue 1775 poesie ci mostra Emily Dickinson anche nei meno noti ruoli di umorista, testimone e critica dell’America del tempo, sfatando la leggenda che la vuole una mistica corrucciata e nevrotica arroccata nella sua stanza.

Scopriamo così un’autrice che, nel sentire tutto con inaudita intensità, inventò una forma poetica irripetibile per comunicare la sua percezione del mondo. Una guida discreta e precisa ai temi e metri caratteristici del suo laboratorio è fornita in questa ricca edizione dalle note del curatore, mentre l’indice tematico permette al lettore di rintracciare le bizzarre scorribande e frequentazioni di questa enigmatica poetessa, da Manzanilla a Pompei, da Giacobbe a Emily Brontë. Una testimonianza di lucida ammirazione di Natalia Ginzburg conclude questa antologia della poesia dickinsoniana.

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Fiore di poesia (1951-1997)

Una donna per un’altra donna. Quella di Alda Merini è una poesia che muove attorno a un dolore radicale, assumendo multiformi aspetti: di ferita biografica, incubo mentale, ansia ascetica. Ma i versi della poetessa si aprono a feconde contraddizioni e nel momento stesso in cui articolano la loro poetica del dolore dichiarano un senso panico della vita che ha gli accenti di una felicità sensuale, ingorda di erotismo, di ritmi terrestri e ritmi cosmici.

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Vita meravigliosa

Un’altra donna, una grandissima sensibilità. Fosse vissuta sei o sette secoli fa, nelle terre umbre dov’è nata, Patrizia Cavalli sarebbe stata senz’altro una delle grandi mistiche di quel periodo. Le sue esatte visioni verbali avrebbero narrato i misteri più sensibili della divinità, e le sue estasi, i suoi terrori e le sue ebbrezze sarebbero stati registrati e trascritti con devozione dai fedeli amici intorno a lei. Nei nostri tempi, invece, Patrizia Cavalli si è proposta il compito, più arduo, di dare parola ai misteri profani di cui tutti facciamo esperienza: all’indicibile nostalgia di settembre, che ogni anno, regolarmente, ci trafigge; al pulsare frenetico della «nemica mente», quando insegue e controlla ogni lieve mutamento del corpo; alla felicità che scende, come rugiada dal cielo, se una certa luce pomeridiana si mostra all’improvviso.

In ogni verso, il ragionare poetico di Patrizia Cavalli non cerca, ma trova. Il suo ardente, ostinato desiderio conoscitivo non chiede altro che arrendersi, infine, dinanzi allo stupore e all’evidenza dell’apparizione poetica. “Vita meravigliosa” rappresenta una summa della poesia di Patrizia Cavalli, attraverso le ossessioni ricorrenti, i temi e i molteplici registri stilistici che la caratterizzano. Insieme ai molti fulminei epigrammi, comici o filosofici (spesso le due cose insieme), compaiono i monologhi ipocondriaci, quasi teatrali, oltre alle tante poesie d’amore, non prive di ferocia descrittiva, e un breve poemetto, “Con Elsa in Paradiso”, dove la promessa – o la minaccia? – della vita eterna apre al poeta la possibilità terrestre di «abolire, non dico la realtà / ma ogni traccia di verosimiglianza». Poco importa che il poeta dica sempre ‘io’: quell’io è talmente dilatato, talmente elastico da includere nella sua lingua ogni cosa, purché esista e viva.

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Tutte le poesie. Testo greco a fronte

Impossibile non amare Kostantinos Kavafis (1863-1933), uno dei maggiori poeti del Novecento. La sua fama è stata fino ad oggi affidata quasi esclusivamente a 154 poesie, tra le quali troviamo ad esempio i versi di Itaca o quelli di Aspettando i barbari. Sono le poesie che Kavafis aveva destinato alla pubblicazione, sottraendole al continuo lavoro di riscrittura che caratterizzava il suo processo creativo. Tuttavia, queste poesie “riconosciute” rappresentano solo una parte della ben più vasta opera poetica di Kavafis, che oggi viene presentata per la prima volta nella sua completezza, e in una veste speciale nella collana Poesia della Donzelli. Finalmente, grazie al lavoro di Paola Maria Minucci, il lettore italiano avrà modo di inoltrarsi tra i versi nascosti e segreti del poeta, scoprendo un intero universo di poesie fino ad oggi mai pubblicate in italiano.

Alle 154 poesie riconosciute si aggiungono 74 poesie nascoste, per la maggior parte inedite, che Kavafis riteneva di dover conservare “segretamente”, “testi da non pubblicare ma da conservare”, come lui stesso annotava, e 27 poesie tra le prove poetiche più antiche, che aveva poi rifiutato negli anni successivi. È lo stesso Kavafis a riconoscere a questi testi una grande importanza, quando arriva ad affermare che è solo da ciò che ha rifiutato che sarà possibile conoscerlo davvero. Del resto, è proprio a queste poesie sepolte che il poeta affida la parte più vera e profonda di sé, come scrive già in una poesia del 1892: “Molte le poesie scritte/ nel mio cuore; e quei canti/ sepolti sono a me molto cari”. La pubblicazione in italiano di tutte le poesie di Kavafis ci restituisce dunque l’immagine completa della sua opera, importante per capire la storia e l’evoluzione della sua poesia e per rintracciare in essa l’origine di modi e tematiche delle poesie maggiori.

I testi più antichi e meno conosciuti dai suoi lettori costituiscono infatti la riserva di ispirazione cui lui tornerà negli anni maturi. La lettura di tutta la sua opera poetica, vero work in progress, ci permette di entrare nel suo laboratorio poetico, mettendo in luce il lavoro ossessivo su ogni testo, rielaborato per anni, se non per decenni, ma soprattutto dando un quadro ricchissimo della sua poesia e delle tematiche che l’attraversano. Queste poesie sono dunque un tramite, un mezzo per capire meglio ciò che si cela dietro le sue parole, per andare oltre i vari mascheramenti, storici, mitologici e persino autobiografici. Sotto questa luce la sua poesia diventa una grande metafora, e la sua opera completa una chiave per leggerla.

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Le poesie

Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Salustri (1871-1950), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco. La produzione del poeta romanesco fu sempre improntata a una forte osservazione della vita sociale e quotidiana e, di conseguenza, anche a un altrettanto arguta satira politica.

L’autore curò fino alla sua morte la sistemazione di questa raccolta complessiva che fu pubblicata in prima edizione nel 1951 e la cui quinta edizione, del 1954, è quella qui presa a riferimento. Essa è la seconda che ricostruisce una successione cronologica in adesione a vari suggerimenti degli studiosi di Trilussa.

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Amore a prima vista. Testo polacco a fronte

Nell’arco di poco più di un decennio – da quel non troppo lontano 1996 in cui fu insignita del Premio Nobel per la letteratura – Wislawa Szymborska è diventata un autore di culto anche in Italia. Né questo vasto successo deve meravigliare. Grazie a un’impavida sicurezza di tocco, la Szymborska sa infatti affrontare temi proibiti perché troppo battuti – l’amore, la morte e la vita in genere, anche e soprattutto nelle sue manifestazioni più irrilevanti – e trasformarli in versi di colloquiale naturalezza e (ingannevole) semplicità.

Si parla molto di amore nelle poesie di Wislawa Szymborska: ma se ne parla con una così impavida sicurezza di tocco e tonalità così sorprendenti che anche un tema sin troppo frequentato ci appare miracolosamente nuovo. «Sentite come ridono – è un insulto» scrive di due amanti felici. «È difficile immaginare dove si finirebbe / se il loro esempio fosse imitabile» – e ad ogni modo «Il tatto e la ragione impongono di tacerne / come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita». Anche parlando d’amore la voce della Szymborska sa dunque essere irresistibilmente ironica: non a caso Adam Zagajewski diceva di lei che «sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del Settecento».

Ma sa anche essere, dietro lo schermo della colloquiale naturalezza e dell’ingannevole semplicità, grave e trafiggente, come quando affida a un panorama divenuto ormai intollerabile il compito di proclamare l’assenza («Non mi fa soffrire / che gli isolotti di ontani sull’acqua / abbiano di nuovo con che stormire») o all’amore a prima vista quello, ancor più temerario, di smascherare il caso-destino che ci governa: «Vorrei chiedere loro / se non ricordano – / una volta un faccia a faccia / in qualche porta girevole? / uno ‘scusi’ nella ressa? / un ‘ha sbagliato numero’ nella cornetta? / – ma conosco la risposta. / No, non ricordano».

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Poesie

Paul Celan incarna la figura del poeta di fronte alle tragedie della Storia. Autore di liriche densissime, capaci di distillare interi universi in poche affilate parole, ha aperto nuovi spazi dell’espressione poetica. Moshe Kahn, il traduttore designato dallo stesso Celan cinquant’anni fa, ha rivisto e ampliato la sua antologia, consegnandoci una nuova lettura di una delle voci fondamentali della letteratura europea.

Il volume, con il testo tedesco a fronte, è arricchito da una cronologia della vita e delle opere di Celan e il racconto autobiografico della scrittrice Helena Janeczek, la quale ricorda il proprio arrivo in Italia con un volume di poesie di Celan che le «fungeva da patria portatile».

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Elogio dell’ombra

Grandissimo Jorge L. Borges. Un autore immenso. Ogni suo nuovo libro di versi, insinua Borges nel Prologo con incantevole autoironia, è un appuntamento con temi che il «rassegnato lettore» prevede: specchi, spade, il tempo che è «la varia / trama di sogni avidi che siamo», il labirinto senza fine che ci serra, Buenos Aires che è la «milonga fischiettata che non riconosciamo e ci emoziona». E ancora il dialogo con gli autori in cui Borges si rispecchia – Ricardo Güiraldes, il «fratello della notte» De Quincey, il persiano che concepì le Rubaiyat, Hilario Ascasubi – o che, come Joyce, lo hanno riscattato con il loro ostinato rigore: le «segrete leggi eterne», del resto, dove altro sono se non nei libri?

Nei libri letti, certo, perché la lettura è arte più raffinata della scrittura («Altri si vantino delle pagine che han scritto; / io vado fiero di quelle che ho letto»), ma anche nei libri semplicemente catalogati, perché ordinare una biblioteca «è esercitare, / umilmente e in silenzio, / l’arte della critica». Sono temi che il «rassegnato lettore» ritroverà qui, in realtà, con la intatta, particolare gioia «delle vecchie cose amate», scoprendo oltretutto che due nuovi, essenziali, se ne aggiungono (basti pensare a Una preghiera e a Elogio dell’ombra): l’etica, che non aveva mai smesso di appassionare l’amato Stevenson, e che al dottor Johnson aveva fatto dire: «La prudenza e la giustizia sono prerogative e virtù di ogni epoca e luogo; siamo eternamente moralisti e solo a volte geometri». E la vecchiaia, che è «dolcezza», quieta attesa della morte e di una luminosa rivelazione: «Presto saprò chi sono».

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Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all’ottocento

Una delle più antiche arti poetiche al mondo. Lo haiku, la più piccola forma di poesia esistente, scandito in tre versi di cinque, sette, cinque sillabe, affonda le radici nel passato remoto della cultura nipponica: originariamente era la prima strofa (hokku) di un componimento più lungo, ma acquistò un’importanza sempre crescente fino a essere riconosciuto come genere indipendente.

Questa antologia ne segue lo sviluppo dalla prima grande fioritura nel seicento, epoca di profondo rinnovamento sociale in Giappone, fino alle soglie della contemporaneità, attraverso le traduzioni che mirano a restituire al pubblico italiano l’icasticità e la purezza di una forma espressiva che ha sempre affascinato l’occidente.

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Poeti giapponesi. Testo giapponese a fronte

La poesia giapponese non è solo quella cristallizzata in un passato remoto, fatto di rituali e messa in scena medioevale. L’introduzione di Maria Teresa Orsi e le note di Alessandro Clementi degli Albizzi sugli autori (quasi dei piccoli saggi) ci permettono di entrare nel modo migliore in un mondo poetico lontano, ricco di voci profonde e originali.

Ventidue autori e autrici scelti fra le generazioni che si sono susseguite a partire dai nati negli anni Venti, come Ishimure Michiko, fino a Fuzuki Yumi che è nata nel 1991. È la più ampia panoramica della poesia giapponese contemporanea. I temi sono vari, da quelli politici (soprattutto nell’immediato dopoguerra e nel 1968 e dintorni) a quelli mistico-naturalistici, a quelli del disagio esistenziale. Diversissime le tendenze stilistiche in una feconda dialettica fra influenze letterarie occidentali e legami più o meno stretti con la tradizione classica giapponese; unico tratto formale in comune: il verso libero.

Gli autori: Akegata Misei, Arakawa Yoji, Fujii Sadakazu, Fuzuki Yumi, Hachikai Mimi, Irisawa Yasuo, Isaka Yoko, Ishimure Michiko, Ito Hiromi, Koike Masayo, Misumi Mizuki, Nomura Kiwao, Ooka Makoto, Park Kyongmi, Sasaki Mikiro, Sugimoto Maiko, Takahashi Mutsuo, Tanikawa Shuntaro, Wago Ryoichi, Yae Yoichiro, Yoshimasu Gozo, Yotsumoto Yasuhiro.

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Lettere a un giovane poeta-lettere a una giovane signora-su Dio

Non potevamo concludere questa raccolta dei migliori libri di Macity senza il consueto fuorisacco. E questa volta il tema è vicinissimo. Le “Lettere” furono realmente indirizzate da Rilke al giovane scrittore Kappus fra il 1903 e il 1908. Pubblicate postume nel 1929, si diffusero in breve tempo nei paesi di lingua tedesca come una specie di breviario, non tanto d’arte quanto di vita. Oggi, nella generale riscoperta di Rilke, ormai sfrondato di quegli omaggi sensibilistici che per molti avevano a lungo impedito l’accesso alla sua grande poesia, queste pagine tornano a essere una guida preziosa.

Fin dalle prime righe, esse ci danno l’accordo che poi sentiremo risuonare in ogni parola di Rilke: «La maggior parte degli avvenimenti sono indicibili, si compiono in uno spazio che mai parola ha varcato, e più indicibili di tutto sono le opere d’arte, misteriose esistenze, la cui vita, accanto alla nostra che svanisce, perdura».

Scrivere, per Rilke, era al tempo stesso un atto che poneva esigenze assolute, mutando la vita intera, e un oscuro processo biologico, una fermentazione delicata dove alla coscienza spettava soprattutto di stare in ascolto, esercitando un’ardua «passività attiva». E proprio in queste lettere Rilke ha saputo illustrare la sua «via» alla letteratura con le parole più precise e più dense.

Solo questa edizione di Adelphi le unisce a due altri brevi testi di carattere affine: le “Lettere a una giovane signora” e “Su Dio”. Inoltre, vengono qui proposte nella celebrata versione di Leone Traverso, che fu uno dei primi e più felici interpreti di Rilke in Italia.

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