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I migliori libri che definiscono il “canone occidentale”

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Il concetto di “canone occidentale” è spesso associato a un insieme di opere letterarie considerate fondamentali per la cultura occidentale. Sono quelle opere che, volenti o nolenti, definiscono la nostra cultura nella maniera più profonda, danno al nostro modo di pensare la sua ragione di essere e ci permettono di dirci di essere ciò che siamo.

Quella che segue è una lista di dieci libri che sono comunemente inclusi nel canone occidentale e che sono stati tutti tradotti e pubblicati in italiano: sono i libri che spesso ritroviamo nelle introduzioni al pensiero occidentale e che non dovrebbero stupire più nessuno ma che tutti dovremmo aver letto.

Qui trovate tutti gli articoli con i Migliori libri di Macity raccolti in un’unica pagina.

migliori libri guida


Odissea

Tutto poggia sulle epiche spalle di Omero. Che forse non è mai esistito. Comunque, questa è una delle opere epiche più importanti della letteratura occidentale, che narra il viaggio di Ulisse di ritorno a casa dopo la guerra di Troia. Abbiamo scelto però un’edizione molto particolare, per un motivo preciso.

Ci sono libri su cui la nostra cultura e il nostro sapere si fondano. Solo che, spesso, possono sembrare noiosi. O difficili. O addirittura sgradevoli, carichi di note e spiegazioni che non invogliano alla lettura. Inoltre, spesso le nuove versioni di questi capolavori – pensiamo a quelle per ragazzi, troppo semplificatorie, o a certi adattamenti in chiave pop – non contribuiscono a dar loro nuova vita. Se mai il contrario. Allo stesso tempo va citato il lavoro ammirevole e incessante che studiosi, filologi e critici non hanno mai smesso di fare per tenere vivo l’interesse sui grandi classici, l’esegesi del testo, la storia di come e da chi furono composti.

Il loro compito è prezioso ed eccitante, ed è merito loro se la discussione su certe opere va avanti da secoli. Ma il rischio è che le chiavi di lettura non aprano più la porta, che il dibattito diventi sempre più contorto, e finisca per escludere sempre più gente. Una cosa però è certa. Certi patrimoni non possono essere perduti. E non solo per sapere chi siamo, ma anche chi possiamo diventare e chi non dobbiamo diventare. Senza l’Odissea non ci sarebbero un sacco di cose belle. Non ci sarebbe Dante, o per lo meno non come lo conosciamo, non ci sarebbe Joyce. Ma, estendendo il concetto a quante menti abbia illuminato quell’opera senza tempo, non sarebbero gli stessi nemmeno Borges, Kundera, Margaret Atwood, Bob Dylan, Nick Cave o Kendrick Lamar. Nemmeno noi saremmo gli stessi.

Per questo motivo quelli di Blackie Edizioni hanno deciso di ripubblicare alcuni grandi classici, a modo loro. Liberati dalla falsa (e dannosa) patina di noia che li avvolge, dalla complessità dell’accademia. Per renderli alla portata di tutti i lettori, offrendo loro l’immenso piacere di scoprire questi testi grandiosi. Affrontati come le pietre miliari che sono, ma senza l’ansia di chi si approccia a totem troppo alti e incombenti.

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La Divina Commedia – Inferno

La storia la sappiamo tutti perché è un capolavoro fondante della letteratura italiana e mondiale: questo poema straordinario esplora i regni dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Abbiamo scelto una edizione originale dell’Inferno (ovviamente gli altri due libri seguono la stessa collana di Garzanti) ma dall’ottimo commento: quello di Vittorio Sermonti.

Nell’estate del 1940, un ragazzo di undici anni ascoltò il padre che leggeva e spiegava ai fratelli maggiori l’Inferno di Dante; le due estati seguenti toccò a Purgatorio e Paradiso. “Le cicale concertavano nel fico, il fumo della Macedonia di mio padre sbandava rampicando per l’aria, le nostre motosiluranti solcavano invitte il golfo della Sirte, e io, praticamente, non capivo nulla.”

Mezzo secolo più tardi proprio quel ragazzo, Vittorio Sermonti, avrebbe letto e spiegato Dante ai microfoni della radio e in più di cinquecento letture pubbliche. Così è nato questo “racconto-commento” della Divina Commedia, che si poneva un obbiettivo solo apparentemente modesto: “consentire a un qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po’ di passione di percorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l’avventura per approvvigionarsi di notizie, delucidazioni e varianti nei battiscopa di note, che spesso rasentano il soffitto della pagina”. È un obbiettivo in realtà ambiziosissimo, e per raggiungerlo era necessaria la prosa insieme raffinata e colloquiale, accurata e ironica di Sermonti.

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Odi ed Epodi

Insieme a Catullo, Orazio fu la voce della poesia latina, che a sua volta è la vera grande forza espressiva della Repubblica e poi dell’Impero. Ci sono i romanzi, le opere epiche, i capolavori di tutti i generi, e tantissime opere filosofiche. Ma la misura del sublime fu veramente toccata dai romani solo con la poesia.

«La vera novità della poesia lirica oraziana, anche sul piano formale, fu quella di ricongiungersi, con le sue Odi, alla lirica greca antica di Archiloco e Pindaro, di Alceo e Saffo. Celebrando se stesso come l'”inventore” romano di questo genere letterario, il poeta di Venosa non si esaltava vanagloriosamente; si può infatti dire che prima di lui i lirici antichi erano conosciuti soltanto di nome e che, per quanto ne sappiamo, nessun romano aveva letto Alceo o Pindaro».

Introduce così Ugo Dotti la sua edizione — tagliata su misura per la sensibilità contemporanea – delle Odi e degli Epodi oraziani, opere indimenticabili che fanno ormai parte della cultura interiore occidentale. Fra l’invettiva tormentata degli Epodi, il tono solenne del Canto secolare e la celebrazione, nelle Odi, della vita tranquilla e del sereno godimento dell’oggi nell’ignoranza del domani, Orazio ha scolpito nei suoi versi un insegnamento poetico ancora attuale, come il suo celebre invito al carpe diem.

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Don Chisciotte della Mancia

La Grecia, poi Firenze e l’Italia, ma poi c’è anche la Spagna. E un grandissimo: Miguel de Cervantes. Considerato il primo romanzo moderno, racconta le avventure e disavventure del cavaliere Don Chisciotte e del suo scudiero Sancho Panza. Senza nulla togliere alle altre case editrici, questa edizione Mondadori è moderna e deliziosa.

Don Chisciotte è il simbolo della cieca fede in un ideale che resiste a qualunque oltraggio, il suo scudiero Sancho invece l’allegoria vivente del buon senso, della concretezza anche ingrata del reale. Ma il romanzo di Cervantes si presenta come opera ben più stratificata e complessa, impossibile da costringere nei limiti di questa stilizzazione unilaterale: è insieme una galleria dei generi letterari del suo tempo, dalla poesia d’amore al romanzo picaresco alla novella pastorale; lo specchio del controverso passaggio dagli ideali di armonia e misura rinascimentali alla follia inventiva del Barocco; ma anche e soprattutto una riflessione senza tempo sulla natura umana e sulle sue ineliminabili contraddizioni.

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Amleto

Secondo Harold Bloom, l’essenza del canone occidentale sono Dante e Shakespeare. Dante già l’abbiamo trattato. Ma Shakespeare? Eccolo qui, nella deliziosa tragedia dell’Amleto, una delle più famose di sempre, che esplora temi universali di vendetta, follia e moralità, qui nella versione Feltrinelli: economica ma ricchissima nel commento.

La vicenda che Shakespeare doveva mettere in scena era, senza mezzi termini, il rapporto di una mente umana con la vita, e il suo problema, allora, era quello di far muovere Amleto, con la sua “prodigiosa consapevolezza” (Henry James), su un terreno adeguato al personaggio e alla sua ricerca. Poiché tutta la vita doveva essere messa in discussione, sottoposta all’analisi, al dubbio di un Amleto che è l’unico moderno, Shakespeare crea una struttura supremamente elastica e comprensiva, capace di abbracciare pianto e riso, ragione e follia, amore e odio; di passare da un universo domestico a un paesaggio sconfinato, da un salone di corte a un campo militare, da una fortezza a un cimitero.

Se bene guardiamo l’Amleto, vediamo come ogni esperienza umana vi venga rappresentata. Tutta la vita; e più ancora: la vita vista come immagine di se medesima, come teatro.

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I promessi sposi

Lo trascuriamo perché è uno di quei testi che vengono massacrati alle scuole medie e poi di nuovo alle superiori. Ma in realtà il romanzo di Alessandro Manzoni è un capolavoro vero, anche se regionale; lo inseriamo qui perché dopotutto siamo italiani: è un romanzo storico che è stato fondamentale per la nascita della lingua italiana moderna.

Ambientato tra il 1628 e il 1630 in Lombardia, durante il dominio spagnolo, fu il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Il romanzo si basa su una rigorosa ricerca storica e gli episodi del XVII secolo, come ad esempio le vicende della monaca di Monza (Marianna de Leyva y Marino) e la Grande Peste del 1629–1631, si fondano su documenti d’archivio e cronache dell’epoca. Il romanzo di Manzoni viene considerato non solo una pietra miliare della letteratura italiana – in quanto è il primo romanzo moderno di questa tradizione letteraria – ma anche un passaggio fondamentale nella nascita stessa della lingua italiana.

Insomma, piaccia o non piaccia, è il nostro canone.

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Guerra e pace

C’è chi ha imparato il russo solo per poterlo leggere in lingua originale. Questo romanzo di Lev Tolstoj esplora la vita di diverse famiglie nobili russe durante le guerre napoleoniche.

Scritto da tra il 1863 e il 1869, è considerato il più grande romanzo russo. In questa celeberrima opera si fondono due narrazioni: da una parte, i grandi avvenimenti storici che travolsero la Russia all’inizio del XIX secolo; dall’altra, le vicende delle due famiglie dei Bolkonskij e dei Rostov, unite dalla figura del conte. In tutto il romanzo emerge chiaro il pensiero di Tolstoj, per il quale non sono gli eroi, i generali e i re a fare la storia, ma le grandi masse, con le loro paure, le loro sofferenze e le loro speranze. La storia è infatti una successione inarrestabile di eventi che il singolo non può modificare.

L’autore è abilissimo nel descrivere l’identità psicologica dei personaggi: dal principe Andrej, altero e deluso dalla vita, alla bella Nataša, vivace e affascinante, al conte Pierre, fragile e tormentato, ma le loro vicende non avrebbero senso senza il racconto della storia del popolo russo, di cui essi divengono dei simboli. In “Guerra e pace” sembra che i veri protagonisti siano proprio lo scorrere del tempo e l’avvicendarsi ineluttabile degli eventi, che rendono questo capolavoro della letteratura quasi un poema epico.

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Madame Bovary

Sono poche, pochissime le opere che possono dire di avere una malattia chiamata con il loro titolo. Eppure il “bovarismo” esiste, a involontaria testimonianza dell’importanza storica di questo romanzo realistico che ha avuto un grande impatto sulla letteratura moderna, esplorando la vita insoddisfatta di una donna nella Francia del XIX secolo.

La storia della signora Bovary, una povera adultera malata di sogni impossibili, che scende la scala della sua degradazione fino al suicidio, è, scriveva Garboli, solo in apparenza la storia di una vita mancata: dominata dalla fatalità, dotata di una cieca e meccanica articolazione, Emma Bovary è piuttosto il ritratto statico, marmoreo, della mancanza della vita.

L’introduzione di questa edizione è a cura dello psicanalista Roberto Speziale Bagliacca che concentra la sua attenzione sulla figura di Charles Bovary, che appare un “masochista morale di alto lignaggio che, con un sadismo perfettamente camuffato, contribuisce in maniera determinante al suicidio di Emma”.

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Ulisse

Se volete racchiuderlo in una formula che ne minimizza l’importanza, potete dire che è un “romanzo innovativo” che “esplora un giorno nella vita di Leopold Bloom a Dublino”, utilizzando una “vasta gamma di stili narrativi”.

In realtà il lavoro di James Joyce è straordinario. «Il più bello e il più interessante dei soggetti è quello dell’Odissea. È più grande e più umano di quello dell’Amleto, superiore al Don Chisciotte, a Dante, al Faust.

A Roma, quando avevo finito circa la metà del Portrait, mi resi conto che l’Odissea doveva esserne il seguito.» Così scriveva Joyce nel 1917. Il capolavori di Joyce uscì nel 1922, nel giorno del suo quarantesimo compleanno, per iniziativa di un’intraprendente americana di Baltimora, la ventitreenne Sylvia Beach. Sei anni di intenso lavoro, stesure e continue revisioni, per trasformare il grande mito in grande pantomima.

Diciotto capitoli, diciotto luoghi, diciotto ore e momenti, diciotto stili, una miriade di personaggi e situazioni per raccontare l’eroicomica giornata di un ebreo irlandese di origini magiare, Leopold Bloom, un uomo a spasso per Dublino dalle otto del mattino alle due di notte del 16 giugno 1904: le sue azioni, i suoi pensieri, le azioni e i pensieri della città, della gente che incontra, di Stephen Dedalus, ovvero l’altra parte di sé, il giovane intellettuale in cerca di un padre (così come Bloom è in cerca di un figlio), di sua moglie Molly, ovvero il grembo, da cui si salpa e a cui si ritorna.

Se non il più bello certo il più decisivo e al tempo stesso difficile libro del Novecento, l’opera è qui accompagnata da imprescindibili strumenti di guida alla lettura curati da due tra i più illustri esegeti italiani dell’opera di Joyce.

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Alla ricerca del tempo perduto – Dalla parte di Swann

Il capolavori di Marcel Proust è una delle opere più ambiziose della letteratura moderna: esplora temi di memoria e tempo attraverso la vita e le riflessioni del protagonista. Questa nuova edizione e straordinaria traduzione – fedele e al tempo stesso “fresca”, godibilissima anche dal lettore moderno – realizzata da Luca Salvatore, è in corso di pubblicazione. Il primo volume è già uscito e tra poche settimane uscirà anche il secondo. Non c’è da restare a bocca asciutta a lungo, insomma, vista l’abbondante oltre che gustosa sostanza.

Un morso a un piccolo dolce soffice, e ad anni di distanza rivivono le impressioni di un ragazzo sensibile sulla sua famiglia e sulle persone che, nel paese di Combray, avevano colpito la sua fervida immaginazione.

Le letture, le passeggiate, le descrizioni umoristiche dei tratti più coloriti della gente che incontra, l’indagine interiore sui palpiti che lo animano. La piccola madeleine, il cespuglio di biancospino, i campanili di Martinville, il bacio della buonanotte, la lanterna magica sono solo alcuni degli episodi che ci sono familiari già prima di aver letto queste pagine.

Du côté de chez Swann, pubblicato per la prima volta nel novembre 1913, è il primo dei sette volumi di À la recherche du temps perdu. Scritta tra il 1906 e il 1922, con le sue oltre tremila pagine, è considerata l’opera più lunga al mondo. Una riflessione artistica e filosofica sulla complessità dell’anima, del tempo e della memoria emotiva, ma anche sull’amore e la gelosia. La cronaca più vivida ed efficace della trasformazione della società francese, ma anche europea, in seguito alle sconfitte napoleoniche.

La cura, come detto, è di Luca Salvatore, i cui lavori di traduzione hanno ottenuto riconoscimenti importanti come il premio Monselice e il premio Babel. Quest’edizione restituisce il testo di Proust in tutta la sua ricchezza e complessità. Corredata da un sistema di apparati e di indici analitici completamente nuovi, che permettono al lettore di seguire ciascun personaggio e riferimento all’interno dell’intero vasto labirinto della Recherche, questa edizione aspira ad avvicinare anche il lettore più prevenuto al ricchissimo mondo cui Proust ha dato vita.

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La natura delle cose.

Primo fuori-sacco perché altrimenti non sarebbe una lista dei migliori di Macity. Anche se un fuori-sacco per un canone, è una contraddizione in termini. Non dovremmo considerarla una a dire il vero un’opera letteraria. Ma questo capolavoro in versi è talmente incredibile e straordinario che trascende tutte le barriere e gli schemi. È un poema fondamentale della storia del pensiero, in cui vengono assunti a fondamento i princìpi portanti della filosofia epicurea. Lo stesso Cicerone fu soggiogato dalla grandezza dell’opera e, pur non approvandone filosoficamente il contenuto, contribuì in modo decisivo alla sua pubblicazione.

L’opera è la celebrazione della dottrina epicurea come filosofia liberatrice dell’uomo e valido mezzo a confortare un’umanità quanto mai turbata e incerta. Cardine del suo approccio era la fisica atomistica democritea: il mondo in cui viviamo non è che il risultato dell’unione casuale di una parte degli infiniti atomi, da sempre in movimento nello spazio senza fine. Al rigido sistema democriteo, Epicuro in realtà aggiunse una variante rivoluzionaria, il clinamen, ossia la spontanea deviazione degli atomi dalla loro traiettoria rettilinea, una sorta di “libero arbitrio” ante litteram. Anche il mondo degli dèi esiste. Ne abbiamo immagine, ma vivendo eternamente beati negli spazi tra mondo e mondo, essi non hanno tempo né voglia di occuparsi di noi.

La conclusione è che, in questo modo, sia la fisica sia la teologia ci liberano dagli ostacoli più gravi che si oppongono alla nostra felicità: il timore della morte e della collera divina.

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Cent’anni di solitudine

Altro fuorisacco, questa volta contemporaneo. E che contemporaneo: c’è tutto il filone del realismo magico della letteratura sudamericana. L’epico romanzo di Gabriel García Marquez. Da José Arcadio ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent’anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile.

Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e da un’inarrestabile fantasia, Gabriel García Márquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell’esistenza umana. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili.

Con la sua forza, il suo bagaglio di visioni e di prodigi, con la sua capacità di reinventare il mondo, questo romanzo è il libro rivelazione che ha rivoluzionato il modo di narrare e ha aperto alla forma romanzo una nuova stagione di successi. Un capolavoro insuperato e insuperabile, un racconto tra i più amati di ogni tempo, un «romanzo ideale», secondo le parole dello stesso autore, «capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio».

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Il senso di una fine

Chiudiamo questa lista dei migliori di Macity con il terzo e ultimo fuori-sacco il cui titolo evoca esso stesso l’idea di fine. Il romanzo capoolavoro di Julian Barnes. La vita di Tony Webster è stata un fiume relativamente tranquillo, da costeggiare al riparo di scelte ragionevoli e sistematici oblii. Ora però la lettera di un avvocato che gli annuncia un’inattesa quanto enigmatica eredità sommuove il termitaio poroso del passato, e il tempo irrompe nella noia del presente sotto forma di parole risalenti all’adolescenza, quando Tony procedeva all’educazione morale, sentimentale e sessuale che ne avrebbe fatto, inavvertitamente come spesso accade, l’adulto che è.

Il percorso a ritroso nelle zone d’ombra della vita, con i suoi dolori inesplorati e i suoi segreti, diventa cosi riflessione sulla fallacia della storia, “quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione”, secondo il geniale amico dei tempi del liceo, Adrian Finn.

Ed è dunque a quel punto di congiunzione, ai ricordi imperfetti come ai documenti inadeguati, che il vecchio Tony deve ora guardare per comprendere le vicissitudini del Tony giovane. Come ha potuto la ragazza di allora, Veronica Ford, preferirgli l’amico raffinato e brillante, Adrian?

Ci sono solo Camus e Wittgenstein dietro l’estrema decisione di Adrian? Da che cosa ha voluto metterlo in guardia tanti anni prima la madre della ragazza? Perché a distanza di quarant’anni Veronica ritorna nella sua vita con un bagaglio di silenzi e il rifiuto di dargli ciò che è suo? Gli indizi da studiare tessono un filo d’Arianna di reminiscenze inaffidabili.

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