Pubblicità, megli ancora, product placement. Lo fanno tutti i marchi, Apple in testa (in quanti film il protagonista tira fuori un Mac e scrive, legge email, naviga, guarda foto?) ma adesso Microsoft sta cercando di fare un salto in avanti, portando il gioco al prossimo livello.
In passato le esperienze di product placement in eventi di alto profilo aveva portato a risultati piuttosto negativi: nel 2014 durante la copertura delle elezioni americane la CNN aveva un tavolo di esperti tutti connessi per commentare in diretta cose, eventi, fatti, tweet. Erano tutti Surface, appoggiati pigramente sul tavolo, ma si scoprì che in realtà venivano usati degli iPad di nascosto. Altra sponsorizzazione: NFL, il campionato nazionale di football americano. L’allenatore dei Patriots, Bill Bellicheck, definì in maniera molto negativa i Surface nel 2016, inaffidabili secondo lui per il lavoro a bordo campo.
Facciamo un passo in avanti: spot di 30 secondi, sessanta secondi, in cui non solo viene mostrato il prodotto ma vengono anche dimostrate le funzionalità: scattare foto, editare un filmato con la penna, prendere appunti, scrivere, attaccare e staccare la tastiera, utilizzare lo stand sia sulle superfici piatte di tavoli e altri appoggi che sulle gambe. Perfetto materiale per degli spot, appunto, ma che Microsoft ha trasformato in pezzetti di trama di film e telefilm grazie al suo nuovo concetto di “story stretch”. E c’è chi protesta, perché considera questa intrusione massiccia all’interno di prodotti per l’intrattimento “fastidiosa”.
Il punto è che le apparizioni sono davvero in numerose, numerosissime intrusioni dentro popolari serie televisive, soprattutto Marvel e DC: Daredevil, The Flash, Arrow, Supergirl, Legends of Tomorrow, Lucifer, ma anche Twin Peakes, o film come Get Out, The Mindy Project, Quantum Break, Lethal Weapon e vari altri. E lo story stretch vuol dire che non solo i prodotti vengono mostrati ma anche esibiti, utilizzati, trasformati in protagonisti dell’intrattenimento.
«Nel primo episodio della prima stagione di Daredevil – scrive Adrianne Jeffries – un uomo di mezza età è seduto da solo in un parco e sta mangiando un panino. Viene avvicinato da un altro uomo vestito con un abito scuro che si siede accanto a noi. Il primo uomo prova ad andarsene ma il secondo lo ferma: “Voglio mostrarti qualcosa”, dice. Tira fuori un Surface di Microsoft, lo apre su un tavolo utilizzando lo stand pieghevole e comincia una dimostrazione di prodotto con un video in streaming sul display ad alta risoluzione. Il primo uomo guarda a bocca aperta, stupito dalla versatilità dell’ultima generazione di ibrido tablet-laptop».
Uno spot perfetto, no? «Certo – dontinua Jeffries – se la televisione ha il volume spento, questo è esattamente quel che sembra la scena di Daredevil. In realtà, con il suono, l’uomo in abito scuro, il braccio destro del cattivo di turno, sta minacciando l’uomo seduto sulla panca, un poliziotto pieno di debiti, mostrandogli un video in streaming della figlia e minacciandolo di ucciderla se lui non coopera. Ci vuole tutta la sospensione della credibilità di cui sono capace per seguire le serie Marvel, ma quando viene tirato fuori il Surface, beh è veramente troppo».
L’autrice, giornalista di tecnologial spiega che né lei né i suoi amici o conoscenti, appassionati di tecnologia e nerd, utilizzano o vedono utilizzare i Surface in maniera così continua e casuale. Nessuno li tira fuori e li butta su un tavolo di legno di un parco cittadino per fare uno streaming e vedere il video live della figlia di un poliziotto. E come non si fa nella vita vera, succede invece continuamente, ovunque. In alcuni casi, visto che i computer sono pervasivi nella nostra vita, trasformando tutto quel che facciamo incluso il lavoro di eroi e supereroi, buoni e cattivi, il computer diventa quasi il protagonista di una scena: permette di scoprire cose, raggiungere determinati obiettivi, cambiare altre cose.
Nel caso delle sponsorizzazioni Microsoft, però, questo diventa quasi una demo dei suoi prodotti, esibiti tutte le volte mostrando le varie capacità degli ibridi in maniera estremamente didascalica e con una pervasività e uniformità molto grande. Cosa che rende abbastanza implausibile il contesto, come se tutti gli attori vestissero allo stesso modo o utilizzassero lo stesso modello di automobile.