Siamo abituati a misurare il tempo in funzione dello scorrere di giorni, ore, minuti, secondi, quest’ultimo una unità di misura del tempo definita come una frazione pari a 1/86 400 del giorno solare medio. Per quanto preciso, questo sistema comporta un problema di non semplice soluzione, quello che in gergo si chiama leap second – in italiano, secondo intercalare – la necessità di applicare una correzione al tempo coordinato universale (UTC) per mantenerlo allineato al giorno solare medio.
Il secondo intercalare corrisponde ad un secondo entro il quale si tiene conto delle irregolarità del movimento della Terra nello Spazio ed è applicato quando la differenza (detta DUT1) fra il tempo universale (UT1) e UTC (il tempo degli orologi di riferimento) si avvicina in valore assoluto agli 0,6 secondi, in modo da garantire che la DUT1 rimanga compresa nell’intervallo tra -0,9 e +0,9 secondi.
Ignorare il leap second, comporta alla lunga una imprecisione minima; tenerlo in considerazione comporta invece svariati problemi e la necessità di prevederne l’esistenza nell’ambito di sistemi della misurazione del tempo non è semplice per via della sua variabilità sul lungo periodo: dal momento che la frequenza di rotazione della Terra non è predicibile sul lungo periodo, non esiste una regola fissa per determinare quando sarà necessario introdurre il prossimo secondo intercalare.
Il secondo intercalare venne introdotto per la prima volta il 30 giugno 1972, mentre l’ultimo secondo intercalare è stato aggiunto il 31 dicembre 2016. Il periodo più lungo senza aggiustamenti è stato quello compreso fra il 1º gennaio 1999 e il 31 dicembre 2005.
La convenzione usata finora prevede in l’inserimento in modo sporadico delle ore 23:59:60 tra le 23:59:59 e le 0:00:00 in base alle indicazioni dell’International Atomic Time (TAI), modificando dinamicamente il tempo misurato sulla base del ritmo con cui la Terra ruota intorno al Sole, calibrando in questo modo la differenza tra il tempo universale ed il tempo “UTC”.
Dall’introduzione nel 1972, la correzione è stata applicata 27 volte, e quindi per un totale di 27 secondi; in futuro potrebbe essere necessaria una sottrazione per via dell’accelerazione della Terra ma l’approccio in questione potrebbe anche cambiare del tutto con una una semplificazione delle procedure attuali.
Lo statuintense National Institute of Standards and Technology (NIST), l’equivalente francese Bureau International de Poids et Mesures (BIPM) ma anche Meta, Amazon, Google e Microsoft, vogliono dire addio al secondo intercalare.
Meta lo spiega in un post sul blog aziendale concordando sul fatto che il secondo intercalare comporta più problemi che vantaggi per la necessità di contemplare quelle 23:59:60, anomalia che può portare a tutta una serie di problemi informatici.
L’eliminazione del leap second non comporterebbe conseguenze apprezzabili per almeno 2000 anni e l’umanità avrebbe tutto il tempo di studiare una soluzione, correggendo l’ora quando sarà il caso di riconsiderare la questione, lasciando inalterato per pragmatismo l’attuale livello. Quello che in futuro che computer, smartphone e smarwatch potrebbero indicare, potrebbero essere un tempo “errato”, un miuscolo errore frutto delle convenzioni tra gli enti responsabili della smisura e scansione temporale.