META – azienda islandese specializzata in installazioni artistiche – ha citato in giudizio Meta – l’azienda sotto il cui cappello sono gestite Facebook, Instagram e Whatsapp – per violazione del marchio, affermando che il cambio del nome nell’azienda di Zuckerberg è stato fatto ai danni dell’affermato brand della loro piccola azienda.
“Il 28 ottobre 2021 Facebook ha preso il nostro marchio META, sulla cui costruzione abbiamo versato sangue, sudore e lacrime per oltre dodici anni”, si legge in un post sul blog della piccola realtà. “Oggi, dopo otto mesi di tentativi di negoziazione in buona fede con Facebook ma senza risultati, non abbiamo altra scelta che intentare una causa”.
L’azienda islandese lamenta i legami di Facebook con problematiche legate alla privacy, elemento che comporterebbe disagio per i loro clienti, con questi ultimi che erroneamente potrebbero ritenere esserci legami con i servizi del social, associando il nome Meta alla “tossicità” indissolubilmente legata a Facebook.
Meta.is è titolare del marchio registrato per il nome in questione ma potrebbe avere vita difficile in tribunale, per via delle varie domande di marchio che Facebook ha richiesto da quando ha cambiato il nome in Meta, compresi servizi legati alla messaggistica, ai social network, servizi finanziari. La società di Zuckerberg ha registrato il nome Meta legandolo anche ad ambiti apparentemente lontani da quelle per le quali la società è nota, comprese le bevande Hard Seltzer (bibite alcoliche aromatizzate) e gli arti protesici.
Zuckerberg nel frattempo ha altri grattacapi da risolvere: sia lui, sia il direttore operativo (COO) Sheryl Sandberg, sono stati chiamati a testimoniare da un tribunale federale americano per discutere del loro coinvolgimento sulla questione Cambridge Analytica, legato all’utilizzo dei dati personali ottenuti illecitamente da Facebook.
Da documenti depositati presso il Northern District della California, si evince che Zuckerberg e Sandberg hanno accettato di deporre rispettivamente per sei e cinque ore a settembre nell’ambito di una class action presentata contro Meta/Facebook secondo la quale l’azienda avrebbe violato leggi sulla privacy dei consumatori scegliendo di condividere suoi dati con Cambridge Analytica nel 2015.