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Marchionne-Jobs: gemelli diversi dell’innovazione industriale

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Fiat come Apple, Sergio Marchionne come Steve Jobs. Di sicuro ce lo augureremmo, soprattutto per i lavoratori di uno dei più grandi gruppi industriali italiani, da sempre travagliato. Però non è detto. Vediamo punto per punto una serie di somiglianze e di differenze. La prima somiglianza è nello stile: Marchionne come Jobs ama l’informalità  di maglioncini e pantaloni comodi. Jobs è più poeta maledetto e attore esistenzialista. Ma anche Marchionne, che comunque ha una formazione straniera, non scherza. Su questo punto c’è pareggio, entro certi limiti. La capacità  retorica di Marchionne non è paragonabile, e neanche le sue arrabbiature.

Il secondo nella voglia di lanciare prodotti rivoluzionari. Steve Jobs, da poco eletto Ceo del decennio, ha dalla sua cose come Mac, iPod e iPhone. Marchionne fino a questo momento ha giocato la carta della memoria con la 500 e quella della rottura degli schemi con l’Alfa MiTo. Ancora tutto da dimostrare per il gruppo Fiat. Gli Usa sono la cartina di tornasole. Marchionne, che conta su una squadra davvero agguerrita, è partito alla conquista dell’America e, più mediatamente, della Chrysler. Acquisizione riuscita, adesso la ripartenza ha bisogno di prodotti come la nuova Jeep e Grand Cherokee. Marchionne promette di portare – ma solo tra tre anni – il made in Italy automobilistico negli Stati Uniti. Speriamo non vada con la Bravo.

Infine, la voglia di stupire anche con un modo differente di costruire l’immagine di una macchina. La 500 ha fatto scuola (ma poi Lapo Elkann è uscito dal gruppo in maniera piuttosto burrascosa, portandosi via i talenti del marketing) e così la MiTo, da mesi parcheggiata – per dire – anche dentro al dashboard di Xbox 360. Marchionne fa comunicare la Fiat e in questo settore è alla pari con Apple, entro certi limiti.

Quello che veramente però mette in ginocchio il gruppo italiano rispetto a quello americano è la mancanza di un’etica e una visione forte, del desiderio di cambiare il mondo, di voler diventare davvero verdi e non solo di mettere metano e GPL in una seconda vasca sotto la pancia dei modelli di auto esistenti. Fiat ha giocato le sue carte, pur essendo uno dei più grandi gruppi industriali e centri di equilibrio per l’occupazione, ma non ha mai realmente investito nel futuro. L’azienda è proiettata nel presente, eternamente sperando che niente cambi in maniera radicale (male comune a tutto il settore, come hanno scoperto gli amministratori delegati del comparto industriale di Detroit negli ultimi due anni), e quindi a differenza di Apple meno adatta a vivere nel ricordo del futuro che arriverà . La battaglia viene vinta dagli americani, nonostante passione impegno e zelo, di una incollatura piena.

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