In Occidente stiamo digerendo l’idea di intelligenze artificiali creative, capaci di essere addestrate e generare contenuti. In Oriente invece la reazione è molto diversa. E dovrebbe insegnarci qualcosa.
Il precedente
C’è un caso che sta facendo parlare la rete. Dopo la morte dell’illustratore coreano Kim Jung Gi a soli 47 anni lo scorso tre ottobre (era il creatore dello stile manhwa fatto con pennello e pennino), uno sviluppatore di videogiochi indie francese di nome 5you ha messo in rete un modello di AI addestrato con i disegni di Kim Jung Gi. L’AI è capace di generare disegni quasi indistinguibili da quelli del maestro. E i fan giapponesi e coreani non hanno gradito.
La risposta, per meglio dire, è stata di puro disprezzo. “Kim Jung Gi ci ha lasciati meno di una settimana fa e i fratelli dell’AI stanno già ‘replicando’ il suo stile e chiedono credito. Avvoltoi e perdenti senza spina dorsale e senza talento”, scrive in un tweet lo scrittore di fumetti Dave Scheidt. “Gli artisti non sono solo uno ‘stile’. Non sono un prodotto. Sono una persona che respira e vive”, scrive in un altro post la fumettista Kori Michele Handwerker.
Cosa sta succedendo
L’Asia, cioè Giappone e Corea del Sud oltre a Taiwan, si sta rendendo conto che la creazione delle intelligenze artificiali passa attraverso l’addestramento ed è in realtà ricombinatoria: la AI generativa è in realtà una AI copiona. E questo non va bene.
L’IA generativa è stata definita “la nuova mania” della Silicon Valley, ma al di là della Valley, l’ostilità e lo scetticismo stanno già aumentando tra una base di utenti inaspettata. Nessuno si poteva immaginare che gli artisti di anime e manga si sarebbero opposti, eppure sta avvenendo. Nelle ultime settimane una serie di controversie, soprattutto in Giappone ma anche in Corea del Sud, sull’arte generata dall’AI, ha spinto esperti del settore, autori e i fan a denunciare la tecnologia e gli artisti che la utilizzano. Sebbene esista una cultura consolidata della creazione di fan art da manga e anime protetti da copyright, molti stanno tracciando una linea di demarcazione quando l’AI crea un’opera d’arte simile a quella di una persona vera.
Se a copiare lo stile e i modi è un fan va bene, ma se a farlo è un altro artista o aspirante tale che usa la AI, allora no, non va più bene.
Caccia alle streghe AI
Oggi i software basati su AI sono già più diffusi di quanto non si creda. A parte OpenAI con Dall-E e Stable Diffusion, ci sono tantissime startup che stanno giocando la carta delle AI per crearsi una nicchia di mercato, e il fumetto non fa eccezione.
Sempre più disegni non sono tanto “fatti con il computer” ma “fatti dal computer”, in una paradossale inversione rispetto a quanto succedeva trent’anni da quando si accusavano produttori di fumetti di sfruttare i i primi software di disegno per “automatizzare” cose che invece si facevano a mano.
Un’artista giapponese è stata costretta a twittare schermate che mostrano i livelli del suo software di illustrazione per contrastare le accuse di utilizzare segretamente l’AI. Due delle band VTuber più famose del Giappone hanno chiesto ai milioni di follower sui social media di smettere di usare l’AI nelle loro fan art, adducendo problemi di copyright se i loro account ufficiali avessero ripubblicato il lavoro. La società Pixiv ha annunciato che lancerà dei tag per filtrare i lavori generati dall’IA nella sua funzione di ricerca e nelle sue classifiche di popolarità.
La furia che viene dall’Oriente
Il caso più clamoroso, forse, è quello della start-up giapponese Radius5, una delle prime aziende a toccare un nervo scoperto quando, ad agosto, ha lanciato una beta di una AI per la generazione di disegni artistici chiamata Mimic e rivolta ai creatori di anime. Gli artisti potevano caricare i propri lavori e personalizzare l’intelligenza artificiale per produrre immagini nel proprio stile illustrativo; l’azienda ha reclutato cinque artisti di anime come casi di prova per il progetto pilota.
Quasi immediatamente, il giorno del lancio di Mimic, Radius5 ha rilasciato una dichiarazione secondo cui gli artisti erano stati presi di mira per abusi sui social media. “Vi preghiamo di astenervi dal criticare o diffamare i creatori”, ha scritto l’amministratore delegato dell’azienda, Daisuke Urushihara, all’assalto fatto da legioni di critici arrabbiatissimi soprattutto su Twitter.
Gli illustratori hanno criticato il servizio, affermando che Mimic avrebbe sminuito la forma d’arte e sarebbe stato usato per ricreare il lavoro degli artisti senza il loro permesso. E in parte avevano ragione. Poche ore dopo la dichiarazione, Radius5 ha bloccato la beta a tempo indeterminato perché gli utenti stavano caricando opere di altri artisti.
L’arte della copia eletta a industria
In effetti, i manga e gli anime sono praticamente il primo banco di prova per l’etica dell’arte dell’AI e per la responsabilità derivante dal copyright. Il mondo dei manga ha da tempo permesso la riproduzione di personaggi protetti da copyright attraverso il doujinshi (le pubblicazioni realizzate dai fan), in parte anche per alimentare la popolarità delle pubblicazioni originali. Lo stesso ex Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, scomparso pochi mesi fa, si era espresso su chi pubblicava copie o varianti di opere famose senza licenza, sostenendo che questo tipo di attività dovrebbe essere protetta come forma di parodia e non venire condannata.
Al di fuori delle doujinshi, la legge giapponese è tradizionalmente severa nei confronti delle violazioni del copyright. Anche un utente che si limita a retwittare o postare un’immagine che viola il copyright può essere perseguito legalmente. Ma con l’arte generata dall’intelligenza artificiale, i problemi legali sorgono solo se il risultato è esattamente identico, o molto vicino, alle immagini su cui il modello è stato addestrato. Cosa succede se copia lo stile o l’atmosfera? O la “mano” dell’artista, ma non un suo disegno originale?
L’urlo dei manga terrorizza anche l’Occidente
Quello che in realtà stiamo vedendo accadere in Giappone e Corea del Sud (per tacer di Taiwan) è un fatto molto semplice. A differenza del ruolo centrale che nella nostra economia e in parte nella nostra cultura hanno occupato le start-up e il loro modello di capitalismo avventuroso e predatorio, in quei Paesi invece c’è un filo completamente diverso: chi copia è manifestamente in malafede e deve essere sanzionato,
Questo vuol dire che una battaglia culturale che da noi non si sta neanche cominciando a combattere se non con generiche prese di posizione per “la difesa dell’occupazione” contro il pericolo indotto dalle AI, in Giappone e Corea del Sud viene invece definita sin dai suoi esordi. A parte l’enorme valore che l’industria dei manga e degli anime ha in quei paesi (dove è una forma di letteratura e cinema che supera quelli tradizionali ben più diffusi in Occidente), il portato simbolico di questi scontri è molto semplice. Impedisce che si generi una abitudine e una assuefazione a un fatto nuovo e non regolato.
Un esempio: in occidente per venti anni, da quando è nato il web, i grandi giornali hanno prodotto tonnellate di notizie gratuitamente sui portali, che poi sono stati fagocitati dai blog e dai social. Adesso che cercano di mettere recinti e palizzate attorno alle notizie (il prodotto commercializzato dai giornali) è troppo tardi: chiudono un recinto mettendolo a pagamento dopo che i buoi sono già scappati. Le persone sono abituate a leggere senza pagare e, anziché iniziare a pagare, si spostano dal primo privo di recinti, muri e palizzate di protezione.
Con le AI si sta verificando lo stesso fenomeno: tutti contenti di saltare sul carro della prossima start-up, maglia a rete larghe di qualsiasi contenuto si tratti (“È l’innovazione, baby”) salvo poi creare i presupposti per fare in modio che tra pochi anni sfugga tutto di mano. I manga e gli anime sono solo la punta di un iceberg che scorgiamo a malapena nella notte, guardando dalla tolda del Titanic sul quale stiamo viaggiando dritti verso la collisione che ci attende. Il problema non è “se” ma “quando” e forse, ancora per poco, “come”.