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Quando si pensa ad Apple a lungo si è pensato al Mac. Anzi, all’inizio era il Macintosh, e prim’ancora l’Apple II: oggettivamente a pensare per averlo posseduto l’Apple I originale con le schede logiche montate in casa e nel garage di Steve Jobs sono oggettivamente in pochi. Insomma, i personal computer. Certo, ci sono state anche altre cose, ma sostanzialmente questo.
Poi, prima gli iPod, poi gli iPhone e quindi gli iPad e gli Apple Watch con le Apple Tv, hanno decretato la fine di quel modello di pensiero. Apple ha iniziato nel 2001 con gli iPod, un mese dopo l’11 settembre. Ha cambiato nome nel 2010 elidendo la parola “Computer” dalla ragione sociale, e ridefinito il suo obiettivo: largo agli apparecchi Post-PC.
E adesso cosa ne è del povero Mac? Nell’era Jobs ha avuto una posizione di prestigio e di avanguardia: dal passaggio a OS X allo switch da architettura RISC dei processori fatti da IBM e Motorola, agli x86 di Intel, fornitore per adesso esclusivo delle CPU dei Mac. In campo computer Apple ne ha fatte parecchie, che però con Tim Cook sono diventate un po’ meno. In parte perché quelli bravi a fare i Mac hanno cambiato lavoro; uno per tutti: Bob Mansfield, prima in pensione, poi ritornato per guidare il progetto Titan dell’automobile adesso “affondata” e forse ridotta a piattaforma software.
In parte però anche perché è cambiato il mercato. Dell può vantare di avere una dozzina di trimestri positivi in fila grazie anche alla buona performance dei suoi personal computer per il mercato B2B (apparecchi aziendali) e Lenovo vede a sua volta un buona crescita in spazi abbandonati da altri grandi, cominciando da IBM, che ha “adottato” Apple, per passare ad altre aziende sempre meno presenti o convinti che investire nei personal computer tradizionali abbia senso. Il senso è che il mercato sta calando, i PC vendono sempre meno, lo scopo di questa piattaforma come veicoli principali della digitalizzazione e della scoperta del mondo della rete si sta rapidamente riducendo.
I personal computer oggi non servono più necessariamente a fare le cose che servivano prima: anche il lavoro può essere in parte svolto in modo diverso. Insomma, l’informatica ha fatto uno scarto e un salto in avanti, in maniera tale che il PC è diventato la vittima sacrificale di una evoluzione piuttosto netta e spietata.
Apple a lungo è stata a galla. Dal punto di vista del fattore di forma già a inizio duemila, in piena “bolla iMac”, Steve Jobs aveva intuito che “portatile è meglio”, spingendo questo settore. Apple è stata una delle primissime aziende a raggiungere la parità tra fissi e portatili e poi a superare con questi ultimi la vendita dei tradizionali computer da scrivania per volume oltre che per valore.
Cupertino adesso ha spinto molto nell’innovazione, cercando di fare cose nuove e diverse soprattutto quando si parla di telefoni, tablet, orologi smart, televisioni smart. E i buoni vecchi computer? Giacciono abbandonati su se stessi. Il nuovo macOS è nato sostanzialmente con un solo nuovo hardware – fino a questo momento – e cioè il tanto vilipeso MacBook 12 (vilipeso perché è il primo portatile basato su Intel con specifiche “mobility”, inferiori nettamente a quelle degli altri portatili della casa con la Mela). Gli altri aggiornamenti, anche solo speed bump, sono stati tutti rinviati. L’attesa conduce alla settimana prossima, dove ci possiamo immaginare arriverà un restyling completo delle linee di Apple, con nuovi MacBook Pro, forse nuovi Mac mini, forse nuovi iMac, forse nuovi Mac Pro (ce ne sarebbe bisogno) e addirittura la riduzione o forse la scomparsa completa della serie Air dei MacBook.
Cosa succederà? Chi scrive non legge i fondi di caffè e quindi non sa cosa dire. Forse computer con prese USB-C e basta, fattori di forma inediti, tastiere ibride e rivoluzionarie (e, speriamo, anche più comode delle precedenti rivoluzioni ultra-sottili), chi può dirlo? Basta aspettare ancora qualche giorno.
Il dato che si può però stimare fin da ora, visto che macOS Sierra è già disponibile da settimane, sta nella capacità di innovare in questo settore. Apple ha decisamente guidato nel settore dei sistemi operativi per personal computer a partire dall’uscita di Mac OS X, sia dal punto di vista delle tecnologie di fondo (vincente la scelta di passare a Unix), sia per gli strumenti di programmazione (da Xcode fino a Swift) che per l’interfaccia (la rivoluzione Aqua e tutto il resto). Ma adesso si sta avvicinando un momento di forte riflusso.
Anche iOS è abbastanza stagnante: poche le novità di sostanza, ci sono più che altro mani di vernice fresca sulle cose più discutibili, nuove integrazioni trasversali (le app dentro i messaggi) e nuove integrazioni verticali (dal Mac all’iPad e all’iPhone, compreso poi l’Apple Watch, e ritorno). Per carità, cose utili, ma che dimostrano anche che la strategia fino a questo momento ha un forte limite. Se tutto si riduce a integrazione e complementarietà, senza nessuno scarto e nessuna innovazione trasformativa del settore dei sistemi operativi, non si va molto lontano.
Google preme con i suoi sistemi operativi che adesso si stanno finalmente integrando; Microsoft rimonta il tempo perduto, Linux è sempre più focalizzato su altri lidi, forse altri attori come Amazon, Facebook e Samsung stanno lavorando alle loro soluzioni. Cosa succererà? Anche qui, bisognerà vedere, chi scrive purtroppo non dispone della proverbiale sfera di cristallo, però non bisogna neanche pensare che alcuni vettori di sviluppo non siano visibili.
Uno di questi vettori è quello che vede l’abbandono della piattaforma Intel e il passaggio a quella proprietaria di Apple basata su rielaborazioni dei chip ARM. Un passaggio che avrebbe senso da molti punti di vista ma che prevederebbe una ulteriore uniformizzazione delle architetture tecnologiche (framework e sistemi) sottostanti all’interfaccia del sistema operativo. Magari le modalità di interazione dei sistemi operativi resterebbero diverse (multitouch e pencil per iOS, mouse/trackpad e tastiera per macOS) con similitudini funzionali (gesture simili) ma scelte di fondo coerenti con le premesse dei diversi tipi di sistemi e del loro ambito di utilizzo.
Il discorso è molto teorico, ma la declinazione – come nello stile di Apple – sarà molto pragmatica e funzionale. Una declinazione che vedremo forse cominciare tra pochi giorni e che ci porterà in una direzione inedita. Non una migrazione improvvisa, ma una accelerazione di una tendenza che probabilmente ci farà capire quale sia l’obiettivo finale.
È un cambiamento di filosofia, che Tim Cook sta probabilmente portando avanti da due o tre anni, già impostato magari dallo stesso Steve Jobs ma senza i “colpi di reni” a cui ci aveva abituato il grande timoniere di Apple. L’uomo dalle transizioni improvvise e irreversibili, quello che cambiava tutto senza rimpianti, è dopotutto lo Steve Jobs che aveva gettato via tutti i vecchi Mac e altri apparecchi del museo aziendale interno sulla base dell’idea che chi è troppo concentrato sul passato non è capace di vivere il presente e progettare il futuro.
Parole sante che però richiedono anche una grinta e un carisma fenomenali. Cook potrebbe avere scelto una strada più morbida io cui obiettivo finale è altrettanto ambizioso di quelli che si era dato Steve Jobs: buttare via il Mac per ricrearlo da zero partendo dagli iPhone e dagli iPad. Una strada che, se dovesse essere vera e se quindi diventerà inevitabilmente palese, creerà scandalo, timori, arrabbiature, perplessità, paure, fughe, ritorni.
Vedremo tra pochi giorni e tra qualche anno se, anche senza leggere fondi di té o di caffè, qui a Macitynet ci abbiamo visto giusto.