La WWDC 2020, la conferenza degli sviluppatori Apple, è dietro l’angolo. Sarà virtuale, come sappiamo, a causa del coronavirus. Apple ha diramato gli inviti, dove peraltro non viene citata esplicitamente una versione live del keynote di lancio con gli annunci, cosa che fa pensare che potrebbe essere registrato. Inoltre, sono in corso una serie di annunci per tutte quelle cose che non ce la faranno ad andare sotto i riflettori della WWDC: si può leggere in questo modo la nuova scheda grafica disponibile per il MacBook Pro 16, e la versione aggiornabile degli SSD dei Mac Pro rilasciati in questi giorni, ma anche il finanziamento solo negli Usa dei Mac, iPad e altro a tasso zero con la Apple Card.
Ovviamente quest’anno è il Mac sotto la lente d’ingrandimento, a partire dal nuovo nome del sistema operativo macOS che potrebbe essere il primo che girerà ufficialmente su processori Arm. Perché l’idea è che ci sia la transizione ai processori Arm.
Abbiamo detto più volte quali sono le ragioni logiche per cui questo accada, e moltissimi analisti e “rumoristi” sostengono la stessa cosa avendo oltretutto accesso a indiscrezioni e notizie riservate. Insomma, il tema non è “se” o “quando” accadrà, piuttosto “come” accadrà. E qui, volendo, si potrebbe fare un piccolo ragionamento.
Apple è probabile che farà il suo consueto colpo di scena e rivelerà che tutti i lucidi e i video della presentazione che verrà mostrata in diretta sul maxi schermo di Cupertino con Tim Cook e gli altri, saranno stati fatti su una versione prototipo di Mac con Arm al posto di Intel: accadde così con il lancio del processore Intel da parte di Steve Jobs e fu veramente un colpo di scena che ebbe un grande effetto.
Ma quale sarà il primo computer che vedremo? A suo tempo venne presentato agli sviluppatori un computer-demo dal costo di un migliaio di dollari. Un Mac fuori serie alquanto strano visivamente con dentro Intel che poi, a fine periodo di “prestito”, venne sostituito con un Mac di serie. I prototipi erano infatti macchine che doveva servire solo a portare gli sviluppatori dentro il mondo Intel e far saggiare loro come avrebbero funzionato i loro software su Intel però prima che fossero disponibili macchine di serie.
Adesso il tema si ripropone e la cosa più probabile è che venga fornito un piccolo computer, della dimensione di un Mac mini o addirittura di una Apple Tv con qualche porta di input/output in più (ma questa seconda è l’ipotesi meno probabile), da utilizzare con il processore A12Z, quello degli attuali iPad Pro 2020, però con molta più ram.
Si tratterà insomma di una “rimotorizzazione” dei Mac più che di una loro “reimmaginazione”. La rivoluzione ci sarà perché sarà necessario avere un prototipo in mano sul quale testare le nuove app e il Developer Transition Kit, analogo concettuale di quello di quindici anni fa, non sarà possibile realizzarlo usando un iPad Pro (il processore è giusto ma il resto no: l’architettura è sbagliata a partire dalla ram a disposizione – poca – e dal modo con cui è ingegnerizzata parte del SoC).
Non sarà neanche possibile farlo utilizzando un MacBook: questo perché la complessità sarebbe maggiore (un laptop richiede tutte le componenti di gestione dell’alimentazione, che sono molto complesse e delicate in un portatile perché devono bilanciare performance, termina e autonomia), costerebbe molto di più e poi perché comincerebbero a girare un sacco di statistiche sulla durata della vita delle batterie su un prototipo non destinato alla produzione e con un altro processore rispetto a quello dei prodotti dell’anno prossimo: sarebbe un danno e basta.
Ma perché parlare comunque di rimotorizzazione? Perché non ci saranno dei cambiamenti rivoluzionari nell’hardware dei Mac. E non dovrebbero essercene. Il senso di tutta questa operazione è mantenere le due linee di prodotti, Mac e iPad, ben separate. Mettere schermi touch, fattori di forma da tablet, parti staccabili, innovazioni stile mondo Pc ibrido, avrebbe pochissimo senso. Soprattutto, niente touchscreen.
È probabile che il nuovo macOS, nella sua fase iniziale perlomeno, non farà una rivoluzione tecnologica richiedendo ad esempio al sandbox delle app come accade su iOS, o di venire solo da App Store, oppure di essere scritte utilizzando UIKit e Catalyst.
È anche probabile che non ci saranno degli schemi complessi come gli ibridi Arm/Intel di cui qualcuno aveva fantasticato, per far correre le app su entrambi i processori. L’idea che si percepisce invece è che saranno dei Mac con lo stesso “look and feel” di quelli di oggi, le stesse app, lo stesso ambiente, la stessa ergonomia, solo che useranno i processori Arm e andranno – si spera – meglio: più performance e meno consumo di energia.
Quando verranno venduti i primi Mac con Arm? Nel febbraio 2021, probabilmente con un MacBook Air che sarà parte della prima tranche di Mac “nuovo mondo”, con anche un resuscitato MacBook Retina 12. Qui le esigenze di Apple, cioè di stupire tutti con la potenza e l’efficienza energetica dei nuovi processori Arm, saranno rese possibili dall’utilizzo di computer portatili ultrasottili che verranno apprezzati soprattuto per la durata della batteria e una interessante potenza di calcolo.
Ci sarà un meccanismo come Rosetta per l’integrazione temporanea delle app 64 bit pensate per Intel su Arm, che però sarà provvisorio e offrirà prestazioni non spettacolari. Molte tecnologie verranno eliminate (OpenGL, OpenCL, WebView e altre) e scompariranno le estensioni del kernel di terze parti (kexts). Hypervisor framework per Arm arriverà con la versione 2021 del sistema operativo, 10.17. HF permetterà di avere lo stesso livello di funzionalità e pulizia che si ottiene con Parallels Desktop e VMware Fusion.
Le app non notarizzate potranno ancora funzionare ma con numerosi e fastidiosi allarmi. Secure Boot sarà sempre attivo e un sistema operativo alternativo a quello di Apple dovrà essere firmato digitalmente per poter funzionare sul nuovo hardware (niente distribuzioni Linux non autorizzate).
Una conclusione finale: quando nel 2005 Apple fece la sua migrazione da Ibm/Motorola (PowerPC) a Intel, in realtà sul mercato il processore di riferimento era l’Athlon 64 di Amd. Gli Intel Pentium 4 erano molto indietro. E così fu anche per le macchine date agli sviluppatori Apple e successivamente ritirate. In realtà l’accordo stretto fra Steve Jobs e Paul Otellini si basava sull’architettura Core Solo Core Duo e Core 2 che Apple aveva potuto vedere e che ha dato più di dieci anni di dominio del mercato ad Intel. Una architettura notevole che, nel 2005, era tale solo sulla carta.
Oggi Apple è sicura che questo tipo di vantaggio per il prossimo ciclo verrà dai Soc basati su Arm. Ed è convinta di poter fare lo stesso. Ed è probabile che, dopo cinque anni di stagnazione nel mondo x86, verremo semplicemente travolti dal livello di innovazione che i processori realizzati da Apple saranno in grado di tirare fuori.