Il Professor Andre Simpson del Scarborough Campus (UTSC) University of Toronto si è reso conto di pagare troppo il materiale per stampanti 3D e ha risolto il problema in modo ingegnoso sfruttando l’olio esauto delle catena di ristoranti di fast food McDonald’s.
CNN riferisce che Simpson è direttore dell’Environmental NMR Center che si occupa di ricerca ambientale. Centrale nelle sue ricerche è uno strumento analitico denominato spettrometro NMR. NMR è l’acronimo di Nuclear Nagnetic Resonance (risonanza magnetica nucleare), spettroscopia simile alla Imaging a risonanza magnetica (MR), la tecnica di generazione di immagini usata prevalentemente a scopi diagnostici in campo medico.
“Sfruttiamo spettrometri NMR per osservare minuscoli organismi viventi e comprendere le loro reazioni biochimiche al cambiamento dell’ambiente”, riferisce Simpson, spiegando che l’obiettivo generale è “colmare il divario tra la ricerca medica e l’ambiente”.
Nel 2017 il professore ha acquistato una stampante 3D per il laboratorio, sperando di poterla usare per creare parti personalizzate per tenere in vita organismi nello spettrometro NMR utili per le sue ricerche. La resina di provenienza commerciale d cui aveva bisogno per stampare in 3D proiettando immagini bidimensionali verso il materiale fotosensibile si è rivelata un componente eccessivamente costoso. L’elemento dominante del materiale usato per stampare è una plastica liquida che costa fino a 500$ al litro. Simpson ha analizzato la resina, individuando un collegamento che ha permesso di capire che le molecole usate per la particolare resina erano simili ai grassi contenuti nel comune olio da cucina e da qui l’idea di verificare a possibilità di trasformare l’olio per friggere in resina per le stampanti 3D.
Simpson e il suo team di dieci studenti hanno effettuato esperimenti per due anni, cercando di ottenere grandi lotti di olio da cucina usato. “Tutti i fast-food della zona ci hanno detto no, eccetto McDonald’s”. Nell’estate del 2017 gli studenti sono andati in un McDonald’s vicino al campus di Toronto e hanno ottenuto l’olio che volevano. Ritornati in laboratorio, il liquido è stato filtrato per eliminare residui di cibo e gli studenti hanno cominciato a sintetizzare piccole quantità di olio da trasformare in resina di qualità, riuscendo a stampare una farfalla in 3D.
Nel settembre del 2018, la svolta: il team è riuscito a stampare in alta qualità una farfalla con una risoluzione di 100 micron (0.1 mm). Gli esperimenti hanno portato alla creazione di una resina di qualità che, secondo le stime di Simpson, potrebbe essere commercializzata a 30 centesimi al litro.
La ricerca è stata pubblicata nel dicembre nel 2019 nel periodico del settore ACS Sustainable Chemistry & Engineering. È l’ennesima idea di come si potrebbero sfruttare e rigenerare oli esausti, valorizzando prodotti di scarto. Già ora oli esausti possono essere riutilizzati per creare energia termica ed elettrica e, se smaltiti correttamente, per saponi, biodiesel e altro ancora.