Da dove passa la sanità nostrana? Alla faccia di tutti i portali regionali, fascicoli sanitari, autenticazioni a due fattori con Spid (a rischio) e Cie, per non parlare del Gdpr e delle altre normative speciali, l’app critica per far parlare medici e pazienti sono le chat di app sulle quali non c’è nessun controllo statale o possibilità di verifica. È tutto in mano a Meta, che è la proprietaria di Whatsapp, e in piccola parte a Telegram e Messenger.
Secondo una ricerca condotta dall’Ordine dei Medici di Firenze, lo strumento di lavoro dei medici di famiglia è Whatsapp, che viene usata per le ricette e i consigli ai pazienti. Per la gran parte dei professionisti della cura il boom di Whatsapp è seguito durante e dopo la pandemia. Secondo il presidente dell’Ordine, Pietro Dattolo, questi sono “Strumenti utili per le comunicazioni rapide, ma il confronto umano resta fondamentale”.
Dai dati emerge che quasi un medico su due (il 47,6%) usa Whatsapp per mandare prescrizioni, valutare esami e dare consigli terapeutici. Oggi 8 dottori su 10 hanno un contatto con gli assistiti tramite smartphone, ma per molti tutto questo è diventato un’invasione della propria sfera privata. Poco usata invece l’email. Il sondaggio è stato condotto nel 2022 dall’Ordine dei Medici chirurghi e odontoiatri di Firenze, tramite un questionario diffuso ai propri iscritti. I risultati sono stati presentati a Firenze in occasione dell’evento “La Messaggistica Istantanea nell’esercizio della Professione Medica“. Il questionario e l’analisi dei dati sono stati realizzati dal laboratorio universitario DataLifeLab dell’Università degli studi di Firenze e dagli esperti della cooperativa Retesviluppo.
I numeri
Hanno risposto all’indagine 1541 professionisti di cui 814 di sesso maschile e 727 femminile, con un’età media di 55 anni. Per quanto riguarda la specializzazione, la maggioranza dei professionisti che hanno risposto sono nell’Odontoiatria (141), Ginecologia e Ostetricia (78), Pediatria (71), Anestesia e Rianimazione (60), Psichiatria (59), Cardiologia (58). Tra i partecipanti, 442 sono dipendenti pubblici, 561 liberi professionisti, 259 medico di medicina generale, 38 pediatri di libera scelta, 74 pensionati, 65 specializzandi/tirocinanti, 44 universitari. Il numero degli assistiti è molto variegato, con una media di 1271,6; mentre il numero di pazienti visitati in media è di 83,4, di cui sempre in media 46,2 sono le visite settimanali ambulatoriali.
Il 79,2% dei medici ha detto di comunicare con i pazienti attraverso i cellulari. E il 22,6% ha affermato di possedere più di uno smartphone, 28 professionisti non ne hanno neppure uno. Il 31,8% utilizza un cellulare esclusivamente dedicato al lavoro, spesso sono i pediatri. I giovani, più degli altri, riescono a tenere due smartphone separati nelle loro vite quotidiane. Secondo l’indagine ormai appena lo 0,6% dei medici comunica con i pazienti solo verbalmente. Mentre l’email è adoperata solo dal 6,6% degli intervistati, risultando, quindi, una soluzione poco proficua.
Medico cura te stesso
Ovviamente non c’è solo Whatsapp nel cellulare dei medici, anche se la maggior parte lo utilizza: 84,3%. Invece gli sms tradizionali sono mandati dal 50,9 dei medici, mentre solo il 14,5% usa Telegram o Messenger. Dal sondaggio risulta che Whatsapp viene sfruttato per comunicare con i pazienti dal 53,9% dei medici, per fissare appuntamenti dal 39,8%, per inviare prescrizioni dal 20,7%, per valutare esami e dare consigli terapeutici a pazienti dal 42% e per scambiare informazioni cliniche dei pazienti con i colleghi dal 56,1%. Il 7,8% dei medici ha scoperto le app proprio durante l’emergenza pandemica.
Il problema è duplice. Da un lato c’è un tema di privacy, di passaggio delle informazioni riservate dei pazienti al di fuori dei canali costruiti per conservare in modo sicuro e legalmente protetto (secondo le norme della Gdpr, che regola il trattamento dei dati) le informazioni sensibili sulla salute delle persone.
Dall’altro, la messaggistica istantanea risulta essere però anche invasiva nella privacy e nella sfera privata di un medico. Ad avvertire molto questa invasione sono soprattutto alcune specializzazioni della professione medica: i chirurghi, gli ematologi, gli endocrinologi, i geriatri, i ginecologi, i medici legali, dello sport, del lavoro, i nefrologi, i neurologi, i pediatri e gli psichiatri. Dal sondaggio appaiono anche delle lacune sulle conoscenze in tema di privacy: quasi la metà dei medici (47,7%), negli ultimi tre anni infatti non ha partecipato ad un corso di formazione sul trattamento/consenso dei dati.
Lo scenario futuro
“La messaggistica tramite cellulare – ha detto durante il convegno Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze – permette di dare in tanti casi risposte rapide e tempestive ai pazienti, sciogliendo dubbi e timori, andando incontro alle esigenze più varie. È importante tuttavia non perdere di vista il confronto umano, di persona, che resta il centro di questa professione. Occorre anche porre attenzione al tema della privacy e restare aggiornati sulle nuove opportunità di comunicazione che si presenteranno nei prossimi anni per essere sempre al fianco della popolazione e nei loro bisogni di cura”.
La percezione dei problemi di privacy è comunque duplice e riguarda non solo i medici, che si “portano in tasca” il lavoro aumentando stress e tensione durante tutta la settimana con l’avvenuta impossibilità a distinguere fra tempo di lavoro e tempo libero, ma anche i pazienti, che vedono tutti i loro dati sensibili esposti attraverso app e strumenti non certificati e garantiti. Se da un lato l’accesso alle informazioni medicali sui server della sanità pubblica e privata è protetto da normative e soprattutto da procedure certificate fin troppo restrittive, dall’altro i telefono cellulari e i fornitori di servizi di messaggistica operano con metodi e criteri che vengono solo genericamente verificati.
Se da un lato un cittadino, per accedere ai dati del suo fascicolo sanitario, deve seguire una procedura onerosa di impostazione e autenticazione al proprio profilo, dall’altro un telefonino che contiene una copia dei documenti può essere rubato, essere smarrito, o semplicemente “visto” da persone terze che hanno accesso all’apparecchio. Probabilmente non succede, ma il problema è che non c’è un processo a norma di legge, cioè che segua la direttiva europea Gdpr sul tema dei trattamenti dei dati e le leggi nazionali in tema di privacy e di dati sensibili in ambito sanitario.
Senza contare che appoggiarsi a una infrastruttura gestita da una o più società straniere, che potrebbe non funzionare o avere problemi di sicurezza o diventare a pagamento, mettere a rischio anche il funzionamento della macchina sanitaria. Per non contare poi il problema dell’inclusività, cioè di tutte quelle fasce più deboli della società che non hanno accesso alle tecnologie, come ad esempio gli anziani o le persone ad esempio ipovedenti.
La domanda di fondo insomma è: perché spendere tanti soldi per la creazione di farraginose e instabili infrastrutture e servizi statali e regionali in ambito sanitario se poi tutto viene fatto a suon di Whatsapp e Telegram, come se si dovesse organizzare una gita fuori porta tra adolescenti?