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Obbligare le aziende a produrre in USA. È stato uno dei cavalli di battaglia del neoeletto presidente Donald Trump con ricette che hanno tra gli ingredienti anche l’isolazionismo commerciale, il protezionismo e la lotta contro le multinazionali (Apple inclusa) che hanno la colpa di produrre all’estero per poi vendere negli Stati Uniti. Ora che Trump è riuscito a farsi eleggere riuscirà a mantenere le promesse?
Sarà complicatissimo, avvisa Jabil Circuit, terzo produttore a contratto al mondo per entrate, realtà che ha tra i suoi clienti anche Apple. Al Wall Street Journal l’azienda spiega che in Cina – se necessario – è facile mobilitare decine di migliaia di lavoratori in poche settimane, obiettivo impossibile “in qualsiasi altro paese” spiega John Dulchinos, vice presidente di Jabil.
“Hanno la capacità di muoversi velocemente e in Asia esiste una catena di approvvigionamento molto forte incentrata intorno alla Cina” spiega ancora il manager evidenziando competenze che si basano su decenni di esperienza nella produzione di dispositivi elettronici, competenze che gli Stati Uniti non possono replicare in breve tempo.
A sua difesa Apple ha spiegato di avere creato oltre due milioni di posti di lavoro negli USA: ingegneri, impiegati nei punti vendita, nei call-center e tra i corrieri. La Casa di Cupertino dichiara di dare lavoro ad oltre 8000 fornitori nei soli Stati Uniti e di stare “investendo fortemente nell’occupazione e innovazione per gli USA”. Produrre un prodotto come iPhone in “casa” non è del tutto impossibile negli USA ma questo fa inevitabilmente levitare i costi.
Apple e altri produttori fanno affidamento a subappaltatori esteri per molti componenti; un iPhone interamente prodotto in USA farebbe aumentare il prezzo di listino di 90$; superati vari scogli il prezzo medio dei prodotti ai quali Apple dovrebbe vendere i propri prodotti potrebbe crescere del 14%. Anche se Apple riuscisse a trovare lavoratori in grado di assemblare i prodotti in outsourcing, il prezzo finale di un iPhone 7 sarebbe superiore di 30/40$.
Non si tratta ad ogni modo solo di un problema di manodopera: la Cina non solo produce ma compra anche gli iPhone. La delocalizzazione degli impianti di produzione non sarebbe gradita e il muro virtuale fatto di dazi per proteggere il mercato a stelle e strisce, si trasformerebbe in perdite rilevanti in uno dei mercati più grandi e importanti del mondo.