Chi ha sempre usato i moderni sistemi operativi, ignora l’esistenza di sistemi operativi a riga di comando (CLI o command-line interface) quali MS-DOS, CP/M, Apple DOS e altri ancora nei quali si usa(va) il prompt dei comandi, un tipo di interfaccia utente caratterizzata da un’interazione testuale tra utente ed elaboratore, senza interfacce grafiche di mezzo.
Nelle interfacce a linea di comando, era (è) possibile eseguire vari programmi digitando i comandi dopo avere premuto il tasto A Capo; il cursore lampeggiante o evidenziato – in gergo il “prompt” – indica la posizione nella schermata dove l’utente scrive e impartisce il comando. I comandi devono essere impartiti in forma di righe di testo rispettando precise sintassi per richiamare funzioni varie. Dopo aver digitato il comando e premuto Invio, il sistema operativo interpreta la riga analizzata e, se composta in modo sintatticamente corretto, esegue quanto richiesto; i comandi prima digitati scrollano in alto e il cursore lampeggiante si sposta alla riga successiva, in attesa di ricevere nuovi comandi.
Ma dove nasce l’idea del cursore lampeggiante per indicare la posizione in cui verranno scritti i caratteri che batteremo sulla tastiera? L’invenzione a quanto pare risale agli anni ’60 del secolo scorso per opera di Charles Kiesling, un veterano navale della guerra di Corea che negli anni immediatamente successivi alla guerra si dedico all’allora nascente settore dell’informatica.
A raccontarlo è il sito Inverse, spiegando che decenni prima dell’arrivo dei primi personal computer, Kiesling era uno di quegli ingegneri che lavoravano con computer grandi quanto stanze, tipo l’IBM 650 o l’ancora più vecchio ENIAC, considerato il primo computer elettronico general purpose della storia.
Nel 1955 Kiesling entrò a far parte della Sperry Rand, in seguito nota come Unisys, contribuendo allo sviluppo di alcune peculiarità nel mondo del computer alle quali pochi fanno caso, compresa l’idea del cursore lampeggiante, una di quelle cose che oggi diamo per scontata ma che fu persino brevettata nel 1967. Stando a quanto riferito in una bacheca virtuale dal presunto figlio di Kiesling, il padre si rese conto che non vi era modo per capire in quale punto dello schermo l’utente stava per digitare qualcosa, e quindi si mise a scrivere il codice per mostrare su un tubo catodico il cursore, evidenziando il punto esatto al quale l’utente doveva fare riferimento. L’effetto lampeggiante a quanto pare si rese necessario per fare comprendere ancora meglio il punto di inserimento di nuovi comandi dal resto del testo.
Nell’articolo di Inverse si dà merito a Apple con il suo Apple II l’aver reso popolare l’idea del cursore lampeggiante sullo schermo con il simbolo dedicato che indica la posizione in cui verrà digitato il comando. Steve Jobs a quanto pare apprezzava il cursore ma aveva capito che sarebbe stato meglio puntare sul mouse, al punto che il primo Macintosh originale non aveva i tasti freccia, per incoraggiare l’uso del mouse per il movimento del puntatore sullo schermo con l’avvento delle GUI (le interfacce grafiche).
Nella biografia di Walter Isaacson dedicata a Steve Jobs si racconta che con il primissimo Macintosh, Steve Jobs decise – tra le altre cose – di eliminare i tasti con le frecce del cursore dalla tastiera l’unico modo di muovere il puntatore sullo schermo era di usare il mouse, un sistema per costringere gli utenti del vecchio stile ad adattarsi alla navigazione con puntamento e click, anche se non ne volevano sapere, costringendo inoltre gli sviluppatori a scrivere programmi specificatamente pensati per l’uso con il mouse. Ancora una volta, Jobs aveva visto lungo…
Per la storia di Apple, vi rimandiamo a questo nostro vecchio articolo.