Parliamoci chiaro: a che diavolo serve Linkedin? No, sul serio. Il social network lavorativo, di settore, di quelli che cercano o cambiano attività, è sempre stato molto particolare e non sempre è piaciuto. Però è diventato di fatto una specie di standard: tutti ahimè ci caricano il curriculum sopra, in maniera parzialmente strutturata. E a che pro? Perché alimentare con dati sensibili e per di più strutturati una società straniera? Per ottenere in cambio un posto di lavoro migliore? Non sembra essere il caso, visto che il problema dell’occupazione mondiale non è stato certo risolto grazie a Linkedin.
Al cronista che sta scrivendo non piace e, per dirla tutta, non è mai servito a niente. Per quelli che sono i fini istituzionali, cioè mettere in contatto potenziali datori di lavoro con potenziali dipendenti. C’è invece un sacco di pubblicità, autopromozione, condivisione di articoli pressoché inutili, conversazioni da aperitivo del business milanese dove sembrano tutti sparati con il cannone. Bello, se piace il genere. Ma poi perché uno deve per forza essere su Linkedin, allora?
Per non parlare poi di tutti quelli che ti chiedono il collegamento, che non si sa neanche da dove escano figuriamoci chi siano. Proposte di lavoro che sembrano fatte da uno che non ha neanche perso tempo a guardare di cosa ti occupi e poi, quando provi a metterti in collegamento davvero, ti spostano su un altro sito non loro dove devi pure caricare il curriculum. Ma allora a cosa serve Linkedin?
Sembrava il modo per differenziarsi in un mondo di social rumorosi e caciaroni, portando qualità e soprattutto focus su un argomento specifico (il lavoro) ma, nonostante sia stato acquistato da Microsoft, è diventato un terreno di caccia per persone che cercano promozione e pubblicità, fanno a gara per avere più contatti che possono. E alla fine sembra solo un altro modo per raccogliere dati personali degli utonti.