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L’incredibile mondo dell’approvazione delle app, tra giochi di parole, trucchi e papiri legali

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Un mondo fatto di trucchi, errori, giochi di parole, complesse procedure di approvazione e incomprensibili rifiuti; ma anche un mondo che si è evoluto e che oggi gestisce un’incredibile complessità di situazioni. È la storia di App Store e dei segreti che stanno dietro al processo di sviluppo di un app, specificamente dalla sua presentazione alla sua apparizione nel sito di vendita on line. A raccontarla è Phillip Shoemaker, in altre parole la prima persona a guidare il team di Apple che si occupa di convalidare le app presentate dagli sviluppatori sull’App Store.

Figlio di un dipendente IBM (quando era adolescente suo padre rimballò nello scatolo e rispedi al mittente il primo Apple II che aveva comprato in segreto), Shoemaker è stato sempre attirato da Apple e prima di arrivare a Cupertino ha lavorato per aziende quali Symantec, Palm e Borland. In qualità di sviluppatore coninciò a creare app non appena Apple mise disposizione il primo iPhone SDK nel marzo del 2008. Da qui la scoperta di quanto poteva essere complicata e lunga la procedura di accettazione di un’app e la rabbia per rifiuti che non sempre sembravano avere una giustificazione logica. Cominciò a scrivere ad Apple per lamentarsi e suggerire miglioramenti, e a furia di dare consigli fu chiamato da Apple e nel 2009 divenne il primo dipendente il cui lavoro consiteva unicamente nel focalizzarsi sull’App Store. All’epoca Apple non aveva una organizzazione interna specifica ma aveva compreso i limiti di questo modo di operare. All’inizio della revisione dell’app si occupavano 4/5 persone e quando lasciò l’zienda quste erano diventate almeno 300.

Shoemaker è arrivato a Cupertino nel 2009, assunto con il titolo di Senior Director App Store Review, come accennato dopo essere stato lui stesso uno sviluppatore al quale Apple più volte ha rifiutato delle app, e qui è rimasto a fino al 2016. Fu il primo dipendente il cui lavoro consisteva unicamente nel focalizzarsi sull’App Store.  Il giorno del suo debutto nell’organico della Mela le app sullo store erano 35.000, oggi se ne contano oltre 1.5 milioni, ha quindi vissuto in pieno la trasformazione del sistema. Quel che è accaduto l’ex dipendente Apple l’ha raccontato durante la conferenza App Builders 2018, che si è tenuta a Lugano.

Nel momento in cui Apple ha deciso di puntare sullo store doveva essere inventato tutto ciò che ha a che fare con la sua gestione quotidiana. Non esisteva un’organizzazione interna specifica e questo provocava dei problemi sui tempi. Poi c’era l’ingegnosità di alcuni sviluppatori nel trovare modi di far passare app non consentite, e questo ha costretto Apple a rivedere più volte i meccanismi di controllo e stabilire nuove regole complicando ulteriormente le procedure.

C’era poi la variabile “caso non previsto”, utile per rifiutare app la cui portata o natura era di difficile comprensione. “Ogni volta che veniva fuori una nuova tecnologia o una cosa nuova che la gente voleva fare, la politica del team di validazione era spiegare che si trattava di qualcosa mai visto prima e l’app era rifiutata (è successo, ad esempio, quattro anni addietro con l’emergere dell’app di gestione dei Bitcoin).

Ma perché Apple ha previsto delle regole per la distribuzione di app sul suo store? Shoemaker elenca tre motivi in ordine di priorità: prima di tutto la necessità di proteggere il marchio (non vuole la presenza di elementi che in qualche modo potrebbero offuscare il suo brand), secondo vuole proteggere il cliente (un modo per mettere al riparo anche Apple stessa da controversie) e il terzo motivo è ottenere il 30% dei ricavi (non possibile senza uno store centralizzato).

Shoemaker ha mostrato una slide con vari termini e tematiche per illustrare quanto le linee guida di Apple siano diventato complesse. Sono oltre 175 le istruzioni di cui bisogna tenere attualmente conto e dopo ogni versione di iOS ci sono nuove regole aggiunte, per non parlare degli aspetti che riguardano l’App Store per Mac, l’Apple Watch, iPad e Apple TV. Facendo un parallelo con gli sviluppatori che si lamentano delle “tonnellate” di nuove API da imparare con ogni nuova versione di iOS, lo stesso vale per i criteri legati all’approvazione delle app.

Dapprima  – come riferisce il sito iGen citando Shoemaker – per sottoporre un’app ad Apple era necessario seguire le linee guida del “Program Licence Agreement” (PLA), “essenzialmente un documento legale, difficile da leggere per le persone normali, sul quale era riportato quello che potevi fare e non fare, tutto in modo piuttosto vago” ha spiegato Shoemaker. “Inizialmente a molti come spiegazione a un rifiuto erano indicati alcune parti del PLA, documento che le persone trovavano troppo esigente o difficile da rispettare”. In una diapositiva ha mostrato criteri e tematiche che impediscono la presenza di un’app sullo store; tra questi: porno, illegalità, app che usano in modo eccessivo la banda, mancanza di rispetto per la privacy e altri casi che Apple si riserva il diritto di considerare.

Non prevedere delle regole, consente di accettare app “impreviste”, le cui conseguenze si rivelano nel momento in cui cominciano a essere distribuite. È successo ad esempio con l’app Baby Shaker, che aveva come unico scopo quello di zittire bambini piangenti virtuali agitando il cellulare mostrando due croci rosse al posto degli occhi. Genitori e varie associazioni si lamenteranno con Apple per le conseguenze e la Mela fu costretta alle pubbliche scuse.

Tre persone verificarono l’app “incriminata”, spiega Shoemaker ma non fu sufficiente. Peggio ancora, l’app fu messa online poco prima degli annunci di Apple concernenti l’ultima trimestrale dell’epoca (nella quale si annunciava il superamento del miliardo di download dall’App Store): uno “scandalo” che oscurò in parte i festeggiamenti.

Questo tipo di eventi, permise alle persone interne di capire quanto siano importanti le app anche per i media. Shoemaker ricevette due telefonate. La prima era di Steve Jobs che l’apostrofò come idiota e spiegando che stava assumendo dei pazzi. La seconda chiamata era di Al Gore, ex vicepresidente nell’era Bill Clinton e membro del consiglio di amministrazione di Apple. Anche questo si lamentò dell’accaduto e non capiva com’era stato possibile approvare una simile app.

Un secondo ricordo di app problematica è quello legato a Slasher, gioco splatter che mostrava scene horror con violenze gratuite. “Steve saltò dalla sedia. Non voleva avere a che fare con app di questo tipo che, a suo dire, esaltavano la violenza”. L’app fu accettata e ritirata nel 2008, prima dell’arrivo di Shoemaker, e poi di nuovo proposta nell’estate del 2009. Si cita ancora come esempio un’app dedicata che incitava al “glassing”, termine che indica la rottura del vetro di una bottiglia o un bicchiere per sfigurare un avversario nelle risse da bar. Shoemaker racconta che era possibile scuotere il telefono e rompere il bicchiere virtuale sullo schermo; lui e il suo team non avevano mai sentito parlare di glassing e solo dopo si rese conto del clamore che l’app provocò nel Regno Unito e in Australia e che doveva essere ritirata prima possibile. Un’altra situazione che ha permesso di aggiungere nuove regole alle linee guida per la presentazione di app nell’App Store. Nel 2011 è stato il turno di The Gay Cure, app di un movimento cristiano che offriva consigli per “curare” l’omosessualità. È stata prima approvata e poi ritirata per le numerose proteste provocate.

Apple è stata a un certo punto accusata da parte degli sviluppatori di non consentire la distribuzione di Apple per motivi ingiusti o apparentemente arbitrari. I procedimenti di verifica e controllo erano secondo molti “dannatamente lenti e complicati” e Shoemaker ha spiegato che a Cupertino hanno ad un certo punto avviato una campagna di ascolto più ampia nei confronti degli sviluppatori, per ottenere quanti più feedback possibili e caprie come e quali aspetti migliorare nelle procedure di approvazione.

Il primo anno Shoemaker ricorda di avere lavorato senza sosta, senza un solo giorno o una settimana di riposo. Quando è arrivato nel 2009 le app ricevute erano una media di 700 a settimana, l’anno dopo erano 4800. Oltre a nuove assunzioni, sono stati probabilmente sviluppati strumenti ad hoc per eseguire alcune verifiche e alleggerire le procedure di controllo anche se l’ex manager di Apple non ha fatto cenno a tool di questo tipo.

Per alcune app è facile capire il perché non sono state approvate; per altri gli sviluppatori sfruttano meccanismi subdoli che comportano l’elimnazione dallo store. È successo ad esempio con un’app denominata Hot Rods che, in teoria, mostrava foto di vecchie auto “truccate”, modificate e modernizzate dai loro proprietari. L’app cominciò a diventare molto, troppo popolare nei download e il team che si occupa della convalida capì che lo sviluppatore aveva attivato una sorta di switch lato server: anziché mostrare foto di auto mostrava foto di genitali. “Uno switch di questo tipo è un meccanismo difficile da rilevare perché non abbiamo accesso al codice sorgente e le persone possono cambiare il funzionamento modificando impostazioni sui server ai quali si appoggiano le loro app”.

All’inizio sia l’operatore di telefoniai AT&T, sia Apple hanno impedito l’utilizzo dell’iPhone come modem: la cosiddetta modalità “tethering”. Non è mancata un’app che giocava con il nome “teth”, apparentemente dedicata all’igiene dentale dei bambini ma che in realtà consentiva di sfruttare lo smartphone della Mela come modem, altra app con la quale solo dopo la distribuzione Apple ha compreso il reale meccanismo di funzionamento nascosto.

Altro aneddoto raccontato è quello relativo a un giorno prima della chiusura annuale dell’App Store. Durante le festività natalizie l’App Store funziona ma non è possibile effettuare interventi tecnici, modificare il contenuto dello store, inviare app o aggiornamenti. L’app Tits & Boobies fu approvata poco prima della chiusura, lasciando immaginare la distribuzione di un’app per mostrare foto di seni di donna di tutti i tipi. Shoemaker fu chiamato dai suoi colleghi perché non riuscivano a capire come mai una simile app era passata inosservata. In realtà era stata approvata per una buona ragione: Tits e Boobies (in italiano Paridi e Sula), sono due specie di uccelli che nulla hanno a che fare con le mammelle delle donne. Non appena lo store riaprì, arrivarono in massa richieste di rimborsi perché le persone non erano evidentemente interessate ai volatili…

Le app che in qualche modo hanno a che fare con la pornografia sono state sempre bandite dall’App Store. Nel periodo in cui Steve Jobs era malato, come riferimento era usato un documento interno nel quale si mostravamo esempi di nudità maschili e femminili, un foglio con una “griglia” di immagini usata come riferimento per decidere casi che era possibile tollerare e no ma tutto ciò lasciava dubbi. Shoemaker racconta che un giorno un vicepresidente (probabilmete Phil Schiller o Scott Forstall) controllò alcune foto presenti nel documento, ne approvò alcune e ne eliminò altre. “Gli chiesi di firmarlo perché volevo essere sicuro che la nudità fosse permessa sullo store. Due settimane dopo ritorna Steve Jobs, prende il foglio e lo accartoccia, spiegando con una semplice analogia la regola da seguire: “Siamo Disney, non accettiamo pornografia sullo Store”.

Gli sviluppatori, come spiegato all’inizio, trovano tecniche di tutti i tipi per cercare di fare approvare le loro app o fare in modo che siano presentate con recensioni positive. Shoemaker ricorda che uno sviluppatore aveva ingaggiato una comunità dell’Alaska automatizzando sl creazione di decine di migliaia di account-utente fasulli, sfruttati per pubblicare commenti lusinghieri su un’app. Il trucchetto è stato scoperto da Apple che ha eliminato l’account allo sviluppatore. Da allora gli sviluppatori si sono fatti più furbi e si rivolgono a società di terze parti che si occupano pubblicare commenti positivi (senza apparentememte essere collegati a loro) per fare in modo che siano eventualmente questi ultimi a essere eliminati.

Altro aneddoto raccontato da Shoemaker riguarda il malware. Nel 2015 fu scoperto XcodeGhost, un malware individuato in alcune versioni di Xcode distribuite illegalmente su alcuni siti web. La Casa di Cupertino fu costretta a rimuovere tutte le app create con questa versione dello strumento di sviluppo. Apple ha provato ad avvisare gli utenti interessati, non riuscendo a disinstallare con la forza le app interessate dagli iPhone degli utenti colpiti dal problema ma è probabile che per diverso tempo vari utenti hanno avuto sui loro telefoni app “infette”.

Non sono mancati casi limite, di sviluppatori che sono arrivati sul punto di minacciare Shoemaker all’interno del campus della Mela perché il suo team non voleva approvare delle app, persone accompagnate all’uscita dagli addetti alla sicurezza. In conclusione, il validation manager ha ribadito che migliorie e cambiamenti apportati alla piattaforma sono il frutto di uno scambio di feedback con gli sviluppatori: “Devi metterti nei loro panni, capire cosa stanno facendo, cercare di guardare le cose dal loro punto di vista”, in modo che tutto sia accettabile per tutti e non solo per Apple.

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