Se il software si mangia il mondo, l’hardware si sta mangiando il software. Spieghiamoci. Con la prima espressione si intende che oggi tutto, qualsiasi forma di business e la maggior parte delle forme di intrattenimento pubblico o privato sono basate sul software. C’è una app, un servizio web, un sistema informativo digitale che tratta e fa circolare le informazioni. È una espressione inventata nella Silicon Valley pochi anni fa ma rende perfettamente l’idea della trasformazione di questo specifico momento storico.
Con la seconda espressione, cioè che l’hardware si mangia il software, possiamo definire il passaggio al quale stiamo assistendo proprio adesso. Mentre Intel annaspa con processori che non riescono più a mantenere le promesse della legge di Moore (e quindi a mantenere in piedi il modello di business che ha fatto da motore al meccanismo “Wintel”, aggiornamenti frequenti di Windows e dei processori Intel per dominare il mercato e drogarne artificialmente la crescita) Apple sta indicando un’altra strada.
È la strada della integrazione verticale. Quella in cui il punto in cui finisce il silicio del chip e comincia il bit del software diventa sempre più indefinito. Dentro il silicio ci sono ottimizzazioni, routine, primitive, canali preferenziali costruiti su misura per potenziare al massimo le capacità del software. Perché gli apparecchi iOS “girano” così bene? È per via della stretta integrazione tra hardware e software. Fu così ai tempi del primo iPhone, che aveva vetro e sensori multitouch così fortemente tarati e ottimizzati sulle esigenze del software (e viceversa) da rendere inimitabile dalla pletora di copioni del mondo Android la possibilità di ricreare un telefonino con le stesse performance e feedback di utilizzo.
Oggi con i processori Apple A10 siamo a un livello ulteriore. Apple fa da tempo i suoi chip, perfezionando e ritagliando su misura le specifiche della architettura ARM, sino ad arrivare ad avere un prodotto unico e inimitabile. Semplicemente, i produttori di Android che utilizzano le versioni “vanilla” di ARM costruiti per lo più da Qualcomm sono lontani anni luce dal livello di ottimizzazione di Apple. E la cosa si vede chiaramente.
Mentre Intel annuncia nuovi processori sostanzialmente veloci come le generazioni precedenti o poco più, con ritardi ulteriori nel rilascio del processo a 10 nanometri, adesso appare chiaro che il futuro dello sviluppo non è più nel silicio x86 ma in quello Ax. E appare sempre più chiaro che il momento in cui eventualmente lanciare il sasso e portare macOS “dentro” i processori Ax, siano A10 o successivi) non è mai stato migliore. È quello che vedremo per la fine dell’anno? È quello di cui si parlerà nelle riunioni sotto embargo e non disclosure agreement della WWDC del prossimo giugno?
È da quando Apple ha lanciato il suo iPhone 4s che l’azienda ha cambiato marcia e accelerato fortemente la spinta per l’integrazione verticale. La scelta di produrre i propri System-on-a-Chip sta pagando in maniera incredibile. L’accelerazione della potenza dei nuovi processori A10 è di una dozzina di volte superiore a quella delle generazioni precedenti. La stessa cosa sta succedendo con Nvidia, che produce GPU più svolgono parte del compito del software, gestendo parte delle soluzioni software. L’hardware insomma, che dovrebbe essere solo uno standard astratto, sta diventando sempre più rilevante e, a seconda di quali funzionalità sono ottimizzate nel silicio, si possono fare cose molto diverse. Situazioni di questo tipo determinano e condizionano le scelte degli ingegneri del software. In pratica, è l’hardware che sta guidando.
Lo ha capito persino Microsoft, che lavora a un processore ad hoc di sua concezione (un DSP a 24 core) per le HoloLens, che accoppiato a un Atom di Intel permette di fare cose che una robusta e carrozzata CPU da computer fisso non riuscirebbe a fare.