Fare un lungo peana di Jonathan “Jony” Ive sarebbe inutile e forse anche fuori luogo. Chi legge le cronache di Macitynet ormai conosce da oltre venti anni il leggendario designer alla cui matita morbida e piena dobbiamo tutto quello che popola il mito di Apple: iMac, iPod, iPhone, iPad, MacBook, Mac Pro, Mac mini e tutto il resto.
È un genio, anzi è stato un genio (al passato, per il futuro aspettiamo di vedere cosa succederà), e i suoi risultati nel mondo del design sono enormi e sono quelli di un creativo nella coppia creative più potenti di sempre. Con Steve Jobs, appunto. Che frequentava Ive con genuino piacere (si pensa ricambiato), passava spessissimo dal suo “atelier” creativo, pranzava sostanzialmente sempre con lui. Jobs, al di là del piacere che provava dalla compagnia dell’amico Ive. E le parole di Ive per ricordare Jobs dopo la sua scomparsa vanno decisamente nella stessa direzione, oltre quello che il semplice rapporto di vicinanza sul lavoro.
Il rapporto con Tim Cook è stato sicuramente diverso: Cook ricordava tempo addietro di avere rapporti continui con Ive ma “nei limiti di quello che posso fare perché ho un sacco di pressione lavorativa e pochissimo tempo libero, come lui del resto, ma lo vedo quando posso e sicuramente nei momenti chiave”. Come dire: un rapporto di lavoro e basta. E si sa che questo, per un creativo, non è il massimo.
Ive se ne va, dunque, e non è un segreto che da tempo ormai non facesse più tutto lui. Anzi: il suo lavoro era diventato il lavoro dei suoi vice, che sono poi quelli che adesso ereditano il lavoro. E che riportano al fedelissimo di Cook, il capo delle operazioni Jeff Williams, perché non c’è altro modo per gestire la transizione che, badate bene, non è affatto finita: anzi, adesso diventa critica e come sappiamo le decisioni che Cook prende sugli uomini per le posizioni chiave. Jobs sicuramente sapeva leggere le persone meglio.
Il tema non è neanche cosa Ive vada a fare – cioè una società creativa e innovativa con l’amico Marc Newson – perché l’uomo vale 10 miliardi di dollari solo di stock options e sostanzialmente può fare quel che vuole, anche giocare a dadi fatti di diamanti con i vecchietti del villaggio per il resto dei suoi giorni. Non è questo il punto.
La vera domanda è l’eredità che lascia: il linguaggio del design ma anche le scelte di come funzionano gli apparecchi. Vale a dire tastiere non buone rispetto al passato e componentistica talmente compressa che non è più possibile riparare gli apparecchi, sigillati e a prova di intervento di manuntenzione o aggiornamento. È una scelta di design e non funzionale che ha cambiato il mondo, perché Apple in questo è stata leader che ha guidato tutti gli altri big e meno big dell’informatica, dai computer ai telefonini con tutto quel che c’è in mezzo.
Non rinunceremmo mai, qui a Macitynet, alla bellezza del design di Apple, ma il prezzo da pagare è molto alto e l’eredità di Ive è questa, non altro.
LoveFrom la “collection of creatives” di Ive e Newsom sarà interessante da guardare, perché coprirà molte discipline diverse e andrà oltre il design. E sarà l’occasione per vedere realmente cosa può ancora fare Ive da solo, quali idee e quali passioni lo muovono. E magari penserà anche un po’ a noi utenti Apple da buon consulente della casa di Cupertino, proponendo prodotti “per il resto di noi”, quelli che da anni ci mancano più di tutto.
Se volete saperne di più di Jonathan Ive, Macitynet ha decine di articoli che riassumono il suo lavoro, parlano delle sue interviste e permettono così di farsi un quadro di chi è stato e di chi sarà anche in futuro Jonathan Ive.