È iniziata ufficialmente l’era X di Twitter. Anzi, non c’è più Twitter, e probabilmente, assieme all’uccellino blu, se ne vanno anche i cinguettii, i tweet. Se ne va tutto, e viene sostituito da quello che il nuovo patròn della ditta, l’ineffabile Elon Musk, vuole per un’azienda che era in difficoltà ma che ha quasi ammazzato con una cura da cavallo per la crisi (che non è detto che non l’ammazzi veramente, alla fine: l’azienda, non il cavallo).
Ma perché una X? Da cosa deriva la scelta di Elon? Quale strategia segreta, quale piano marketing, quale consapevolezza della ventiquattresima lettera dell’alfabeto, quella usualmente utilizzata per designare le incognite in matematica, la firma degli analfabeti, l’elemento da cancellare o eliminare, e il punto determinante ad esempio su una mappa o per un appuntamento (“l’ora X”). La realtà è molto più sorprendente di quanto non crediate.
Una lettera per tutti
Elon Musk, il presidente e CTO di Twitter, è uno degli uomini più ricchi e discussi al mondo. Un leader con una forma di comando molto “macho” che sta generando crescenti perplessità nel mondo economico americano, abituato peraltro a stranezze di notevole livello. Come quella di comprare per più di 40 miliardi di dollari Twitter e poi devastarlo con tagli enormi al personale e alla fine la decisione di cambiargli nome, ultima “botta” a uno dei marchi più conosciuti al mondo. Perché? È un mistero, apparentemente.
Se non fosse che Elon è ossessionato da due idee. La prima è la X, la seconda è la Super App. Sulla seconda diremo qualcosa alla fine, la prima è più interessante perché rivela in realtà una ossessione lunga come tutta la carriera di Elon Musk.
La prima X non si scorda mai
Era il 1999, Elon Musk aveva appena venduto la sua prima, piccola azienda e aveva deciso che voleva rivoluzionare il mondo delle banche e del credito: internet avrebbe cambiato tutto, diceva. Per farlo, il giovanissimo sudafricano quasi laureato in fisica e con un passato di sofferenza per via del bullismo subito a scuola, decide di fondare X Corp., la società di nome X della quale registra anche l’indirizzo x.com (un dominio con una sola lettera dell’alfabeto è estremamente costoso e infatti Musk l’ha pagato moltissimo nei mesi scorsi, quando l’ha ricomprato).
X è la sua prima azienda finanziaria, ma rimane isolata per poco tempo: conosce Peter Thiel (altro personaggio piuttosto fuori dal comune) e decide di fondersi con la sua Confinity, che poi dà origine a PayPal. Le fortune di Musk nascono infatti con l’app e il servizio per il pagamento nato full digital più diffuso al mondo.
La scalata del mondo corporate
Dopo il lancio di PayPal arriva eBay che se lo compra e Musk se ne va con un primo patrimonio personale di 165 milioni di dollari. È il momento di ripartire e costruire qualcosa di nuovo. Musk accarezza l’idea di andare nello spazio.
All’inizio non è l’ambientalismo o il desiderio di ricominciare da capo su Marte prima che sia troppo tardi per la Terra, ma la semplice considerazione che la Nasa ha finito i soldi e per mantenere il programma spaziale c’è una deregulation che permette di appoggiarsi a fornitori terzi. Fornitori che possono lavorare per la Nasa nel medio periodo e costruire razzi sufficientemente economici da aprire un’epoca di turismo spaziale per i più ricchi: quell’1% della popolazione che in realtà è composto da più di 80 milioni di persone. Abbastanza per farci un’impresa sopra.
Verso lo spazio e oltre
Musk lancia la Space Exploration Technologies Corporation che presto diventa SpaceX, con il simbolo che riassume tutto attorno alla lettera X. Perché la X nel logo diventa anche un pezzetto di traiettoria di un razzo che va nello spazio. Diventa un simbolo di avventura.
Come quella delle auto elettriche, che Musk capisce essere un grande affare. Tanto che si mette d’impegno e compra la società che secondo lui consente di sviluppare in tempi ragionevoli quello che ha in mente: una rivoluzione delle auto elettriche prima dei produttori tradizionali. Elon Musk si compra Tesla e comincia a sviluppare il business con il suo solito approccio: primi prodotti molto costosi per ricchi appassionati che finanziano lo sviluppo di prodotti via via più economici per le masse.
L’auto del futuro
Scommettendo sulla traiettoria di sviluppo di una tecnologia tradizionale, cioè le batterie usate dalle auto, che per Musk diventeranno sempre meno costose e più efficienti, Musk riesce a far decollare Tesla. Integra verticalmente sia la produzione di batterie che i pannelli solari che le stazioni di ricarica veloce, ma intanto lavora ai nuovi modelli dell’automobile.
Il piano segreto dell’auto E
C’è la Model X, ovviamente, che è il terzo modello di Tesla. Un errore, lo definiscono in molti (anche lo stesso Musk) perché in realtà non segue il piano di una progressiva diminuzione dei costi dei prodotti dell’azienda e un’allargamento della base di mercato. No, la Model X costa quanto la Model S se non di più e non ha molto successo come SUV elettrico.
Con il suo piano sbaraglia i grandi produttori di auto tradizionali, che pensavano di fare melina per qualche decennio ancora con i motori termici, rinviando l’elettrico a data da definirsi. Invece, Musk ha creato da zero auto completamente nuove (cioè non elettrificazioni delle esistenti) e li ha bruciati sul tempo, costringendoli a cambiare piani. Con un impatto economico per i colossi dell’auto enorme, costato lacrime e sangue ai consumatori e agli operai. Ma questa è un’altra storia per chi volesse ascoltarla.
Do you think I’m sexy?
Tuttavia non è quello il solo piano di Musk. Lui vuole in realtà fare un’altra cosa: uno scherzo goliardico da quello che è stato definito “l’imprenditore più “bro” del pianeta”. Lui vuole che i prodotti di Tesla contengano un easter egg: una parola “vietata”, un codice nascosto per gli intenditori.
La prima è la Model S. Poi ci saranno la Model X e la Model Y. Nel mezzo, ci vorrebbe una Model E, ma Ford si è già presa il nome (Model E, come elettrico) e non vuol cederlo. Allora Musk ricorre all’alfabeto segreto dei nerd e ribalta la E trasformandola in un 3. Ecco la Model 3 e la scritta dei prodotti in ordine di lancio: S3XY, come la targa di alcune delle sue automobili.
Un liceale allo sbaraglio
Se non fosse l’uomo più ricco del mondo (per alcuni momenti) e uno da cui dipendono i destini lavorativi ed economici di milioni di persone, tra dipendenti e indotto per tacer della concorrenza, ci sarebbe da ridere.
Elon Musk che straparla. Elon Musk che battezza il figlio X. Elon Musk che si fa una canna in diretta (e viene multato rischiando di perdere tutto). Elon Musk con un mito da capo-macho che lavora venti ore al giorno, con un culto della personalità attorno a lui alimentato da un rapporto diretto e senza mediazioni con i social (tra cui soprattutto Twitter) che non ha eguali al mondo. Ci manca solo che va a cavallo a torso nudo o a mietere il grano in canotta e il quadro è perfetto.
Per recuperare il ruolo di ceo più hip e amico dei “bro” del mondo, per avere un po’ di “edge”, come dicono gli esperti del marekting di lusso, persino il più giovane Mark Zuckerberg, che ha 13 anni in meno di Musk, è costretto a scendere in campo. Nasce l’idea della sfida surreale al Colosseo: una sorta di “duello tra bro” per stabilire chi ha l’immagine più tosta dei due.
Tutte le X del capo
Ma non bastano le aziende, i prodotti, il figlio. Oltre al rebranding di Twitter c’è anche la nuova azienda appena lanciata per l’intelligenza artificiale: xAI. E un’idea folle in testa.
Cercare di mettere assieme tutti i pezzi del puzzle per fare una operazione che in occidente non è ancora riuscita a nessuno. Creare una super-app.
La super-app di Elon Musk
Una Super-app è una applicazione per smartphone che offre al suo interno i servizi di decine e decine di app. Tutto in un’unica piattaforma, svincolata praticamente dal sistema operativo sottostante: può essere iOS, Android o qualsiasi altra cosa. Tanto gli utenti non escono più dalla super-app perché là trovano tutto quello che cercano.
E cosa cercano? L’idea è quella cinese di WeChat, app sviluppata da Tencent che offre tutte le funzioni funzioni possibili: di messaggistica istantanea, social networking, pagamenti digitali, servizi bancari, prenotazione di appuntamenti, ordini di cibo, prenotazione di taxi, e molto altro ancora. Un pezzo della vita quotidiana di milioni di persone in Cina passa dalla app.
In America ed Europa non ci sono app simili. Anche i big dei social disintermediano: Meta/Facebook ha fatto Threads, Instagram, Whatsapp e altro “attorno” a Facebook e non con un’unica app sia per paura dell’antitrust sia perché gli utenti occidentali si ritiene che preferiscano tante app diverse a una sola che fa tutto. Ma è davvero così?
La scommessa X di Elon Musk
Secondo Musk, no. La semplificazione della vita degli utenti, la maggiore comodità, la possibilità di utilizzare centinaia di servizi diversi, vincerà. E porterà dei vantaggi enormi per la piattaforma che riuscirà a conquistare tutti gli utenti.
Mentre in Cina la super-app è nata sostanzialmente per aiutare lo sviluppo dell’economia digitale in maniera controllabile e che evitasse il dissenso, l’idea di Musk è quella, molto logica, di centralizzare tutto su una nuova piattaforma adesso che le piattaforme digitali del nostro tempo sono in difficoltà.
Così, mentre Microsoft è diventata irrilevante rispetto al passato, mentre i social si avviano lungo la stessa strada, mentre Amazon è strozzata da mercati digitali alternativi, anche Facebook/Meta e Google stanno passando un periodo piuttosto complesso e non economicamente positivo perché la privacy blocca il mercato della pubblicità (la monetizzazione degli utenti) che insieme controllavano all’80% e più a livello planetario.
Musk, grande opportunista della tecnologia, annusa una via per il gol e si lancia in quella direzione. La sua futura app, che non dubitiamo si chiamerà X, sarà quella che nasce dalle ceneri dell’uccellino-fenice Twitter? Forse sì. Questo sembra essere il piano. Ma già non si sa se lui, Elon Musk, riuscirà mai a fare davvero una super-app, figuriamoci poi ad avere successo. Anche se la volontà e la fortuna a quanto pare non gli mancano.