La Legge di Moore è il modello di business che per molti anni è stata la regola aurea del settore dell’elettronica e un forte stimolo per l’innovazione. Nel 1965, Gordon Moore (co-fondatore di Intel) fece una previsione che avrebbe dettato il ritmo della moderna rivoluzione digitale. Da un’osservazione attenta di una tendenza emergente, Moore estrapolò che la potenza del computing sarebbe aumentata drasticamente e i costi relativi sarebbero diminuiti a un ritmo esponenziale.
Nel 1971, il processore Intel 4004, dotato di 2.300 transistor, era un dispositivo impressionante per l’epoca, ed era utilizzato per fornire la potenza di elaborazione alla modesta calcolatrice Busicom. La larghezza dei circuiti del 4004 misurava 10.000 nanometri, 10 volte più sottile rispetto a quella di un capello umano (100.000 nm).
Oggi, i progressi nella produzione hanno consentito di ridurre ulteriormente le linee dei circuiti, fino a un range di 14 nm (ma si parla giù di 10nm e anche 7nm). Questa riduzione così radicale ha permesso ai processori di ultima generazione di includere miliardi di transistor, rendendo possibili modelli di utilizzo nuovi.
Evoluzione senza confronti
I computer vengono usati per fornire la potenza di elaborazione a qualsiasi cosa, dai bancomat alle automobili, dai tablet ai supercomputer passando per smartwatch e smartband. E non è solo la dimensione a essere stata ridotta. La frequenza di clock del microprocessore Intel 4004 originale era impostata a un valore di 740 kilohertz, pari a 0,00074 GHz.
Se un motore si fosse evoluto con un ritmo analogo alla Legge di Moore, ciascuno di noi avrebbe bisogno di soli 4 litri di carburante per coprire il fabbisogno necessario ai viaggi in auto di una vita intera. Saremmo in grado di volare sulla luna in 60 secondi e di trasferirci da Taipei a New York in meno di 30 secondi.
Se da un lato la velocità è importante, la Legge di Moore è stata la forza trainante della sempre maggiore efficienza energetica dei dispositivi elettronici. I processori di oggi sono 90.000 volte più efficienti rispetto al processore Intel 4004 originale. Questo aspetto è importante tanto quanto l’incremento di potenza poiché, se il consumo di energia fosse rimasto invariato dal 1970, un notebook costerebbe 100.000 euro all’anno per funzionare, invece di 25.
I transistor in silicio, minuscoli switch che trasportano le informazioni su un chip, sono stati rimpiccioliti anno dopo anno, ma si stanno avvicinando al limite fisico. Le dimensioni sempre più piccole, che ora raggiungono la nanoscala, impediranno aumento delle prestazioni, data la natura del silicio e le leggi della fisica. Entro qualche altra generazione, le classiche riduzioni dimensionali non produrranno più i sostanziali vantaggi in termini di minore consumo, minore costo e processori a più elevata velocità a cui il settore è ormai abituato.
Caccia alle alternative
Da tempo è noto che i 7 nm rappresentano un limite dopo il quale potrebbe essere necessario trovare un’alternativa al silicio. La miniaturizzazione dei transistor, uno degli aspetti sul quale è stato basato il progresso tecnologico negli ultimi anni, potrebbe essere arrivato al capolinea. È quanto emerge da una previsione dell’edizione 2015 di International Technology Roadmap for Semiconductors, rilasciata pubblicamente solo poche settimane addietro.
Secondo le analisi per le società che si occupano di microprocessori dopo il 2021 non sarà più economicamente conveniente continuare sulla strada della miniaturizzazione, in altre parole ridurre ancora le dimensioni dei transistor nei chip. Lo stesso Moore aveva spiegato che anche se il raddoppio dei transistor ogni 24 mesi volgesse al termine, “l’elettronica continuerà a trovare la sua strada in ogni angolo della nostra esistenza”.
Già da tempo sono state trovate nuove direttrici: incremento della densità sfruttando nuove geometrie dei transistor, nuove modalità per la loro disposizione (tenendo conto del piano e non solo dello spazio), evoluzione delle strutture FinFET verso i nuovi gate all-around e molto altro.