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Le ragioni per cui si cambia e non si cambia il proprio smartphone

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Quanto dura un telefonino nelle nostre tasche? Per quanto ci portiamo a giro uno smartphone prima di decidere di averne abbastanza e andare in un negozio (oppure online) per comprarne un altro?

Capire questo meccanismo, che è una delle cose che interessano di più i produttori, vuol dire anche capire quanto successo avrà l’ultimo modello di smartphone, iPhone 16 o Pixel 9 che sia.

Certamente ognuno di noi ha una risposta diversa, legata alla bolla sociale nella quale viviamo: il posto dove abitiamo, chi frequentiamo, che età, reddito, condizione sociale e cultura abbiamo. Una miriade di variabili che gli esperti di marketing studiano tutta la vita per riuscire a dominarle e manipolarle. Perché l’obiettivo di qualsiasi azienda ovviamente è vendere almeno un telefono in più del trimestre precedente. Ovvero convincere gli utenti che lo comprano, anche se sono meno, a spendere di più. Aumentando quanto più possibile i margini.

Le ragioni di un cambiamento

La risposta sta negli studi statistici e sociali, oltre che nelle analisi di mercato. Quindi, quanto tempo prima di cambiare lo smartphone? Alcune considerazioni preliminari.

Intanto, la prima è relativa alla natura del mercato. È di gran lunga un mercato di sostituzione: cioè la stragrande maggioranza degli acquirenti avevano già un altro smartphone. La seconda è relativa ai produttori: i due grandi schieramenti (Android e iOS) sono diventati nel tempo sempre meno permeabili. Gli utenti iPhone continuano a comprare iPhone nella gran parte dei casi, mentre quelli Android restano in casa Android, casomai cambiando marca del produttore.

Ancora, gli ecosistemi sono diversi e legano gli utenti con servizi aggiuntivi difficilmente separabili dal dispositivo. Questo succede sia con i telefoni Android che con quelli fatti da Apple. I servizi cloud, di gestione delle foto, dei messaggi, dei documenti, le app di seconda parte (presenti solo in un ecosistema), le funzioni specifiche di un determinato tipo di sistema operativo e altre forme di “legame” mantengono gli utenti in un ecosistema piuttosto che un altro.

Longevità reale e percepita

I cicli di vita dei telefoni Apple e quelli degli altri produttori tendono a essere diversi, inoltre, per via del maggior supporto di versioni del sistema operativo (cinque anni contro due-tre) e le differenze medie dell’hardware. Apple non ha “bassi di gamma” con componenti più economiche e quindi che si usurano più rapidamente di quelle degli “alti di gamma”, che costituiscono numericamente la fascia più ampia dei telefoni Android. I telefoni flagship Android sono perfettamente paragonabili per la qualità della componentistica a quelli di Apple.

Ancora, bisogna distinguere tra gli smartphone privati e quelli aziendali che ormai sono diventati una soluzione universalmente diffusa tra le aziende pubbliche e private e il cui numero pesa in maniera significativa sui totali mondiali di vendita.

Infine, una delle variabili più importanti nella sostituzione dei telefoni è il peso dei contratti sussidiati dall’operatore o dal venditore stesso nei suoi negozi: pagamento in una soluzione sola o a rate in 12-18-24 o 30 mesi? Di solito il cambio di apparecchio avviene a fine ciclo di pagamento oppure se l’operatore offre una opzioni di cambio con un piccolo premio, per fidelizzare ulteriormente l’utente.

Le ragioni per cui si cambia e non si cambia il proprio smartphone

Il tempo medio di sostituzione

Fatte tutte queste premesse, arriviamo ai tempi di sostituzione. Negli Usa, analizzando i dati dal 2013 al 2027 (quindi con una proiezione per il futuro) il risultato è questo: la durata media prevista (lunghezza del ciclo di sostituzione) degli smartphone consumer e aziendali del 2013 è simile a quella del 2023.

Gli smartphone del segmento consumer hanno una durata di circa 2,67 e 2,54 anni, rispettivamente. In Europa è leggermente inferiore (2,3 anni), e l’Italia si colloca sotto l’anno in media: 17 mesi

Le esternalità imprevedibili

La pandemia ha giocato un ruolo importante soprattutto per gli utenti iPhone, che secondo alcune analisi hanno allungato decisamente i tempi di ricambio dei telefoni, con una percentuale di utenti (il 30%) che dal Covid in avanti lo tiene più a lungo. La ragione è dettata dalle particolari condizioni soprattutto del lockdown: chiusi in casa, con meno spese e un po’ di paura per l’ambiente incerto, più attenti a se stessi e impegnati nell’uso della tecnologia (perché c’era zero tempo sociale fuori) ha spinto molti in Europa e negli Usa a cambiare subito telefono durante la pandemia (accorciando il ciclo di sostituzione precedente) per poi tenerlo più a lungo (allungando il ciclo successivo nel 2020-2021 e 2022).

Le ragioni per cui si cambia e non si cambia il proprio smartphone
Screenshot

L’effetto X e 12

Adesso, dovremmo essere tornati alla normalità dei cicli. Anche se per molti utenti iPhone vale anche un altro doppio macro-ciclo che sta appiattendo i consumi (e Tim Cook ha cercato di compensare il calo delle vendite aumentando i prezzi).

Il primo è relativo al lancio di iPhone X, che ha introdotto un cambiamento netto di fattore di forma. Moltissimi utenti cambiano telefono quando le differenze sono visibili esteticamente e comportano anche un cambiamento nell’interfaccia (addio al pulsante “Home” e benvenuto notch).

L’iPhone X del 2017 e successivi (da XR in avanti) hanno ovviamente prestazioni peggiori di quelli di oggi, ma sono ancora funzionali, hanno un fattore di forma più sottile e affusolato e per moltissimi utenti sono ancora perfetti. Persino più belli. E supportati. Il nuovo iOS 18 infatti supporta da iPhone XR (2018) in avanti.

Gli iPhone con il design di X erano particolarmente interessanti per i consumatori. Così come lo sono stati quelli della generazione dell’iPhone 12 (2020), il primo con i bordi squadrati che mantiene ancora il dominio del fattore di forma di tutti gli iPhone successivi incluso l’attuale iPhone 16 e 16 Pro, quattro anni dopo.

iPhone 16 è zoppo

È difficile che l’attuale ciclo di sostituzione di iPhone 16 e 16 Pro possa avere un impatto paragonabile a questi due capisaldi del passato, anche perché in più di metà del suo mercato (Europa e Cina) non verrà commercializzata per il ragionevole futuro la funzione dell’Apple Intelligence, castrando di fatto le funzionalità dell’apparecchio e rendendo agli occhi degli utenti meno importante fare un aggiornamento da più di mille euro se non strettamente necessario o pesantemente sovvenzionato.

Apple ha cercato di compensare insistendo molto su alcune funzioni chiave (fotocamera, batteria e nuovo pulsante hardware) ma si tratta di fattori marginali rispetto al bisogno di aggiornamento in vista della novità dell’AI.

Il fattore A come ambiente

Inoltre, vale la pena sottolineare anche un altro aspetto: l’impatto ambientale. Qui Apple ha lavorato molto e non a caso. L’azienda sta facendo uno sforzo titanico per portare tutta l’azienda, filiera inclusa, alla carbon neutrality entro il 2030. Attenzione, però, questo non vuol dire che cesserà di produrre i suoi prodotti o ne diminuirà la quantità. Invece, vuol dire che cercherà di produrne il più possibile ma lo farà cambiando il modo con il quale avviene la loro produzione, consumo e smaltimento, cioè l’impatto sul pianeta dal punto di vista delle risorse rinnovabili, non rinnovabili e del cambiamento climatico.

Per i consumatori e per le altre istituzioni (ad esempio, l’Unione europea) si intrecciano qui tanti temi diversi. C’è il rispetto per l’ambiente, quello vero basato sulla misura e non sulle compensazioni. Cioè: la differenza tra “carbon zero” (o “net zero”) e “no carbon”.

La scelta “No Carbon”

I telefoni attuali (e gli altri prodotti elettronici) sono prodotti in modo tale da minimizzare l’impatto sull’ambiente con una serie piuttosto complessa di manovre di compensazione e di riciclo. Ma non comprare un telefono vuol dire non produrlo e quindi non toccare l’ambiente. È la differenza tra “carbon zero” e “no carbon”.

Apple e gli altri produttori di hardware non vogliono il “no carbon”. Cercano invece di fare “carbon zero”: producono in modo più pulito, cambiando come producono, spediscono, usano e smaltiscono i prodotti. Invece, quando ad esempio l’Unione europea ha ordinato a tutte le aziende produttrici di strumenti elettronici portatili di usare il medesimo spinotto per caricare i telefoni, l’ha fatto per spingere a non comprare più altri carica-batteria: “no carbon”, anziché “carbon zero”. C’è una differenza sostanziale.

Quando un’azienda o un prodotto viene etichettato come “carbon zero”, ciò significa che l’azienda ha implementato pratiche per ridurre le proprie emissioni di gas serra e ha compensato le emissioni rimanenti attraverso vari meccanismi (come il finanziamento di progetti di riforestazione o l’acquisto di crediti di carbonio). In sostanza, l’obiettivo è quello di bilanciare le emissioni di CO2 prodotte con equivalenti riduzioni o rimozioni di CO2 altrove, ottenendo un “bilancio netto” pari a zero.

Tuttavia, questo non vuol dire che non ci siano emissioni reali durante il ciclo di vita del prodotto o dell’attività. Significa semplicemente che le emissioni generate sono state compensate. Ci sono comunque materiali estratti, energia consumata, e processi industriali che, nella loro essenza, hanno comunque un impatto.

La realtà dietro il “carbon zero”

Le auto a basse emissioni, i telefoni “carbon zero”, i voli eco-efficienti, sono tutte cose belle ma sono anche un artificio linguistico. Una trappola di marketing. Gli aerei che usano i biocarburanti non emettono fiorellini dai motori; le fabbriche di smartphone non producono acqua potabile ed essenza di violetta; le automobili a benzina o elettriche non piantano gli alberi quando passano in autostrada. Carbon zero non vuol dire che non riempiamo il pianeta di nuovi apparecchi.

Alcuni milioni di utenti che pensano di comprare un nuovo telefono pensano anche a questo e immaginano che allungare la vita del loro attuale apparecchio di 1-2 anni possa fare bene all’ambiente. E non hanno torto.

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