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Le notizie sulla fine della realtà per colpa dell’AI sono fortemente esagerate

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Un articolo pubblicato dalla rivista online americana The Verge ha aperto un dibattito che non poteva non essere aperto. Poveri noi. Anche il nostro sempre sobrio e riservato Corriere della Sera non può fare a meno di ricorrere “all’effetto speciale” per mostrare come l’accelerazione impressionante degli ultimi smartphone arrivati sul mercato (Samsung Galaxy Z Fold 6, Pixel 9 e manca ancora iPhone 16 che arriverà tra pochi giorni, il 10 settembre) abbia aperto un capitolo nuovo: la fotografia mente. Anzi, mente tantissimo, creando cose credibili che però non sono vere.

Scrive TheVerge: “Un’esplosione dal lato di un vecchio edificio in mattoni. Una bicicletta incidentata in un incrocio cittadino. Uno scarafaggio in una scatola di cibo da asporto. Ci sono voluti meno di 10 secondi per creare ognuna di queste immagini con lo strumento Reimagine del Magic Editor del Pixel 9. Sono nitidissime. Sono nitide. Sono a colori. Sono ad alta fedeltà. Non c’è nessuna sfocatura sospetta sullo sfondo, né un sesto dito rivelatore. Queste foto sono straordinariamente convincenti, e sono tutte completamente false”.

La verità dietro la menzogna

Il tema che scandalizza i benpensanti è quello della falsificazione della realtà. Anzi, della facilità con la quale falsificarla. Perché l’azione consentita dall’intelligenza artificiale è quella di creare laddove la fotocamera riprende e inventare laddove la foto rappresenta.

Lo scandalo è questo: il computer microscopico contenuto nel telefono permette di fare cose impensabili che mettono in crisi la veridicità delle immagini. Aggiungere una persona che non c’era all’interno di una foto di gruppo, facendola come se fosse l’azione più naturale del mondo viene percepita come un tradimento della verità. Un gigantesco assalto alla perfezione dell’immagine, che fa da testimonianza alla realtà, per corromperla e falsificarla.

Una immagine non mente mai e vale più di cento parole”: il tradimento operato dagli apprendisti stregoni dell’intelligenza artificiale e della fotografia computazionale è mortale. Fermateli, prima che sia troppo tardi!

Perché, si chiede ansiosamente il Corriere della Sera, “Se strumenti come Gemini sugli smartphone – disponibili per tutti, senza abilità pregresse, già efficaci e veloci oggi e quindi potenzialmente perfetti un domani – ci obbligano a non dare più per scontato che una foto sia «vera», come possiamo costruire la pubblica fiducia nei rapporti personali o in quelli commerciali?”.

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Immagine di The Verge

Ok, calma e gesso

Forse è il caso di fermarsi un attimo e riflettere meglio. Non tanto al bias che The Verge da sempre ha nei confronti dell’AI (che viene considerata “male”) e il conseguente “segue” della stampa nostrana. Invece, riflettere sul ruolo delle fotografie e delle immagini. Perché la fotografia esiste già da un bel po’: dal 1839.

Anzi, per fare i precisini dal lunedì 19 agosto 1839, quando gli storici ricordano che l’invenzione venne ufficialmente presentata ai parigini presso l’Accademia delle scienze e delle arti visive. Quindi, dopo 185 anni forse due o tre cose sulla fotografia, sulla sua rappresentazione della realtà (alquanto menzognera e ingannatrice) e sulla sua falsificazione (pianificata e praticata fin dal primo giorno in cui venne creata) le sappiamo. E senza bisogno di disturbare Susan Sontag.

Il dibattito di oggi, con le sue tinte un po’ fosche e millenariste (“Non si può più credere a nulla, se anche le foto dei telefoni sono false”, pensa la gente) è in realtà la riproduzione di un altro dibattito di pochi anni fa: quello su Photoshop e la manipolazione “facile” delle immagini fotografiche al computer.

E tutti e due sono figli del dibattito sulla manipolazione delle fotografie “prima di Photoshop”. L’esempio che si cita sempre è lo sbianchettamento delle foto analogiche per eliminare i nemici di Stalin dopo che erano stati condannati dalle immagini ufficiali del regime sovietico.

Le notizie sulla fine della realtà per colpa dell’AI sono fortemente esagerate
Immagini di The Verge

Le foto sono tutte false

La verità è che le foto non sono “reali”: sono una rappresentazione della realtà soggetta a una serie di procedimenti. Dall’obiettivo, che distorce il mondo, alla inquadratura, alla tecnologia di ripresa, alla tecnologia di sviluppo. Tutte le foto sono manipolate, chi più chi meno.

È un continuum in cui l’intelligenza artificiale arriva e si mette in coda, portando il suo contributo dopo che mille tecniche diverse, da quelle di ripresa a quelle di sviluppo, fissaggio e stampa, hanno permesso nel tempo.

Se tutto è vero e tutto è falso però non andiamo da nessuna parte. Perché anche un bambino vede che una foto non ritoccata è “vera” (almeno, a grandi linee) mentre una foto ritoccata pesantemente con l’AI è tarocca. E allora, perché dobbiamo pensare meglio prima di gridare alla fine del mondo?

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Immagine di The Verge

Il potere del contesto

Ritoccare le immagini, dice il filosofo e artista Francesco D’Isa, uno degli osservatori più lucidi sul fenomeno delle AI nelle immagini, di per sé non ha valore.

“La semplice creazione di una foto falsa, senza un contesto adeguato – scrive sul suo canale Telegram D’Isa – in genere non ha un impatto significativo. Il potere di una fotografia falsificata deriva dalla sua capacità di inserirsi in un contesto credibile che le conferisca autorità e senso. Questo è vero sia per le fotomanipolazioni tradizionali che per quelle create con strumenti come Photoshop o le moderne tecnologie AI”.

In pratica, spiega D’Isa, le foto falsificate da Stalin funzionavano perché c’era un sistema di propaganda più ampio (supportato dal terrore delle armi) che forniva la legittimità alla foto falsificata e alla relativa narrazione.

“Allo stesso modo – scrive D’Isa –, Photoshop non ha rivoluzionato le fake news perché, nonostante la semplificazione tecnica, ciò che dà forza a un’immagine falsificata è la sua capacità di essere percepita come reale in un contesto appropriato.

Il potere dietro al falso

Non è la foto falsa a essere potente, ma deve esserlo il contesto e il sistema di comunicazione dietro per fare sì che l’immagine tarocca produca dei risultati.

Infatti, dai tempi di Photoshop le foto manipolate sono diventate la norma ma in maniera normale (le foto della pubblicità, ad esempio, o quelle dei matrimoni e delle altre cerimonie) perché il sistema di potere che le supporta è quello: foto false di grande impatto se ne vedono in realtà poche: la tecnologia abilita ma da sola non basta. “Senza un contesto adeguato – scrive D’Isa –, la foto falsa rimane relativamente innocua”.

Si potrà obiettare: ma una foto falsa fatta con l’AI è ingannevole e ingannerà molti. Le fake news diventeranno imperanti, riempiranno i social e intaseranno i nostri telefonini. La realtà, secondo D’Isa, non sarà questa: “A dirla tutta, il meccanismo delle fake news si basa su tutt’altre dinamiche che il realismo fotografico”.

Il mostro nella nostra testa

Se un parente in visita al lago scozzese di Loch Ness torna da noi con una bella e chiara foto di un indubitabile mostro che nuova festosamente nel lago, la domanda giusta da farsi non è “È vero?”.

Invece, dice D’Isa, è questa: “Quali sono le condizioni per cui crederemmo a una foto del mostro di Loch Ness?” La falsificazione della realtà avviene nella nostra testa, quando crediamo a una sua rappresentazione al posto di un’altra. L’AI è solo un di cui, l’ultimo strumento in ordine di tempo per “inventarci” una rappresentazione tascabile del mondo da accostare a quella che i nostri occhi e i nostri sensi registrano giorno per giorno per il nostro cervello.

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